Lettera aperta ai candidati presidenziali per le elezioni presidenziali americane. Prof Carlini, Taccuino Americano 12
Lettera, una lettera, questo è il testo d’intervista inoltrato al possibile presidente degli Stati Uniti d’America in una fase politica contraddistinta da intensi dibattiti televisivi.
Gentile Signor Presidente uscente e sfidante, nel vostro ruolo di prossimo presidente degli Stati Uniti, sarebbe interessante conoscere meglio il programma politico in economia e in particolare per quanto riguarda il settore manifatturiero. Come noto, da diversi anni, più economisti imputano l’alta disoccupazione sia negli Usa come in occidente all’intenso processo di delocalizzazione che ha interessato il mondo moderno dal 2000 ad oggi. Considerando che la Germania ha attualmente un peso del settore manifatturiero pari al 6% e l’Italia al 3,3% e che questi due paesi sono quelli che in Europa contano di più per numero d’industrie in attività, ritiene che il 14,6% statunitense sia adeguato per assorbire 14 milioni di disoccupati? (la Cina conta un manifatturiero al 21,7%).
Nel caso riteniate opportuna una revisione della politica industriale, del resto già in atto dal mese di marzo negli Usa dove si segnala un tasso di rientro delle imprese americane prima delocalizzate al 20% rispetto a quelle che ancora escono dal Paese limitate al solo 2%, come pensate d’agire e a quale livello ritenete adeguato il manifatturiero statunitense?
Al di là della vicenda tutta americana, va riconosciuto come la nazione leader dell’occidente stia reagendo all’incosciente spostamento delle attività produttive verso i nuovi mercati asiatici. Tale prassi è errata per diversi motivi, tra cui è noto quanto l’economia si sviluppi in presenza di certezza del diritto e in democrazia. Entrambi questi aspetti non sono certi né in Turchia, che in India, tantomeno in Cina per non parlare del Brasile.
Non è però questo il punto. La riflessione è un’altra. In Italia, assodato che il mercato interno è in forte crisi, causa scarsità di lavoro e liquidità per sostenere un ritmo di spesa adeguato al sistema industriale, quanta industria è necessaria per mantenere il nostro livello di civiltà? Indubbiamente “il lavoro” è da considerarsi la materia prima necessaria allo sviluppo della società. Posti di lavoro vuol dire attività economiche in funzione oltre il primario (in rivalutazione rispetto al passato) e al terziario (in aperta crisi). Un quesito di questo tipo, sarebbe interessante che fosse incluso nell’imminente campagna elettorale italiana. Oltre i tradizionali concetti di destra, sinistra, centro che ormai appaiono sbiaditi, si vorrebbe qui suggerire di considerare anche:
– quanto deve costare l’energia per essere competitivi?
– quanta industria serve al Paese per assorbire parte della disoccupazione?
– quanto deve incidere sul PIL la Pubblica amministrazione?
– la delocalizzazione è libera e soggetta alla regole di mercato o deve invece rispettare certi livelli di civiltà del lavoro e del benessere, pena la tassazione sui prodotti re-importati nel Paese?
– quanto va tassato un imprenditore che si sposta in Carinzia rispetto a uno che prosegue a lavorare nel suo paese?
– possiamo ambire a un livello unico di tassazione per le imprese nel territorio UE?
– possiamo pensare a un trattamento unificato delle banche verso le imprese in ambito UE?
– possiamo standardizzare il contratto di lavoro in tutta la UE?
Chissà se potremo apprezzare delle idee nuove e urgenti su questi temi negli Usa come in Europa/Italia.