La guerra. Ne ho sentito parlare così tante volte che l’ho vissuta per interposta persona. Mi è stata narrata dai miei genitori e l’ho vissuta io come cultura e concetti per 20 anni di servizio a favore dello Stato. La guerra è parte della mia formazione e la sento, respiro, vedo, osservo e studio da tutta la vita. Oggi, per ironia della sorte, in un mondo di schizoidi pacifisti, ciò che io militarista e nazionalista ho sempre sentito sulla pelle, diventa se non realtà, qualcosa di molto simile.
Spieghiamoci: ritengo la guerra la naturale prosecuzione della politica con mezzi bellici.
Non sono a favore o conto la guerra, la ritengo un’opzione da prendere in seria considerazione a seconda del contesto nel quale ci si trova.
Da qui, essere un crudele guerrafondaio ce ne passa. Non cerco e voglio la guerra, ma sono disposto a sterminare chi mi attacca in casa. Ritengo perfettamente corretta la procedura israeliana di estirpare alla radice ogni ipotesi di pericolo alla frontiera occidentale. In tale azione ci vanno di mezzo i nemici, Hamas e chiunque li protegga a loro rischio e pericolo. Laddove la popolazione voglia, per scelta, offrirsi come scudo umano sono fatti loro, ne paghino le dirette conseguenze. Con questo pensiero si è lontani con una distanza siderale da ogni manifestazione pro-Palestina e ingerenza nelle Università, come accaduto, senza cacciare via gli studenti.
Tornando al tema della guerra ne resto affascinato dalla capacità distruttiva e creativa alla stesso tempo. Un concetto difficile da spiegare.
Quando la guerra s’apre in Occidente, dai suoi resti rinasce la civiltà in forme più complesse e vive rispetto al passato. Se la guerra colpisce una cultura diversa da quella Occidentale, resta flagello e distruzione per generazioni e generazioni. Ecco che lo stesso fenomeno assume contorni completamente diversi a seconda della cultura di riferimento.
La guerra. Gli diamo il benvenuto?