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La dollarizzazione della lira: critica all’euro

by Giovanni Carlini
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LA DOLLARIZZAZIONE DELLA LIRA – Prof. in economia e sociologia Giovanni Carlini

La dollarizzazione della lira, è stato pubblicato più volte negli anni. Nel 2000, 2008, 2011, 2012, 2014, 2015 e quindi nel 2017 in piena crisi della Ue. Ormai è un classico della letteratura economica. Infatti le regole della nostra vita quotidiana e il contesto economico che ne deriva, sono cambiati dal 2001. In particolare siamo passati da un’era globalizzata a un’altra che potremmo chiamare POST GLOBALIZZATA. Il guaio è che non avevamo capito neppure le regole di fondo della globalizzazione. Ora, a cultura incompleta sull’era globalizzata, dovremo rapidamente capire le nuove tendenze. I primi effetti di un mondo costruito in modo sbagliato, sono stati visibili solo dal 2008. Qui il riferimento coglie in particolare la globalizzazione. In successione rapida, particolarmente contro l’euro e la UE, si sono succedute altre 2 crisi: greca e la Brexit. Si tratta di eventi, non ultimo il cambio d’amministrazione negli Usa, che proiettano l’Europa in un futuro incerto. L’incertezza provoca paura, in particolare per l’immaturità della classe dirigente. Il caso italiano, con il tradimento del voto del 4 dicembre, fa scuola in Europa. Necessita a questo punto una nuova generazione che non sia superficiale come quella attuale. Serve una rifondazione della PERSONALITA’.

Parlando del rilancio della PERSONALITA’ si aprono degli scenari molto complessi. Chi è maturo e chi è “moderno”? Certo una società che divorzia al 42% e si separa nella coppie di fatto al 60% difficilmente esprime maturità! In pratica servono un uomo e una donna completamente diversi da quelli che in questi anni si sono affermati. Dove trovare persone normali e diverse, quando la normalità è morta? Lo studio noto come La dollarizzazione della lira, assume così una valenza che va oltre il solo aspetto monetario, per spingersi sul sociologico. La domanda è: stiamo andando nella direzione corretta?

Perché l’euro è stato un errore

Perché la moneta comune (euro) è da considerarsi un errore concettuale?
La spiegazione potrebbe essere complessa. Per semplificare è saggio paragonare il sistema sanguigno di un organismo umano alla struttura economica. Come noto, la velocità di circolazione del sangue, si misura con la pressione. La moneta, in un sistema economico, è perfettamente paragonabile al fluido del corpo umano. Nel caso immettessimo in un organismo un liquido estraneo, soggetto a regole diverse non studiate, avremmo problemi di pressione bassa/alta o il rigetto. E’ esattamente quanto accaduto nel sistema economico italiano. In un’economia “che ha funzionato con la lira”, è stato iniettata una moneta completamente estranea. Una divisa che compete normalmente con il dollaro. Una unità monetaria che non ha nulla di compatibile con il nostro sistema economico. In pratica ogni particolare di un sistema, e con ciò anche quello economico, ha una sua logica, che non può essere modificata alla leggera.
L’errore di fondo, nell’introduzione euro nei diversi sistemi nazionali, fu di svuotare un’economia della sua moneta, per introdurne un’altra. Come se da una bottiglia contenente del latte, senza sciacquarla, si mettesse del vino d’ottima annata. La fretta di ricoprire un ruolo e di trovare argomenti politici, che colmassero un vuoto senza precedenti, (il ricordo va a Ciampi, Padoa Schioppa, Prodi) portò quei protagonisti a scelte errate. Essi si spinsero sull’introduzione dell’euro, dimenticandosi le regole più elementari d’adattamento. In conclusione, l’economia italiana (e non solo) soffre oggi d’alta pressione, perché si trova a pagare in dollari (l’euro è un surrogato della divisa statunitense) quanto guadagna in lire. Ovviamente di pressione alta si muore! Ecco il senso dello studio La dollarizzazione della lira. La lira è stata dollarizzata, tradotta in euro, ovvero dollari. Il dollaro, un’unità monetaria “terribile”, forte e potente.

I rimedi? Il doppio corso. La lira come moneta di conto interna e l’euro per ogni transazione con l’estero. Cessare quindi quel processo già definito come La dollarizzazione della lira. 

Di conseguenza pagare gli stipendi in lire, nominare i conti correnti bancari nella doppia moneta. Prezzare nelle due unità di conto, serve a riportare il fluido dell’economia all’effettivo regime con cui ragiona e si muove l’economia nazionale. Non avviare questa procedura, significa replicare, anche in Italia, quanto accadde in Argentina nel 2001. Qui, per controllare un’inflazione galoppante, si abrogò la divisa locale, il “Peso” per adottare il dollaro USA. Peccato che ci si scordò che la zecca, ovvero chi conia i dollari è solo negli Stati Uniti. La conclusione è nota a tutti. Il sistema economico argentino collassò per carenza di liquidità (come nel 1929 a Wall Street) A conti fatti, la rarefazione della spesa, da parte del consumatore, ricrea le condizioni di ritiro dal mercato della massa monetaria. La minore spesa deriva dal timore dell’elevato costo delle materie prime, generi alimentari, mutuo sulla casa. La dollarizzazione della lira nasce dallo studio del fallimento argentino.

Con il ritiro della massa monetaria, impoverendo il mercato dalla liquidità, si porta allo stess il sistema bancario. I governi, per rispondere alla crisi, “creano moneta” stampandola (quantitative easing). Il vero obiettivo dei governi è quello di “creare inflazione” affinché si distrugga moneta.   Con queste premesse c’è un futuro per il sistema sociale e economico nazionale? In assenza di correttivi, la risposta è no. Quanto qui scritto è stato già vissuto nel 2001 con la crisi argentina. Si è osservato in Italia dal 2008 al 2016 nella contrazione dei consumi interni. Ha agito negli Usa dal 2010 con la creazione di moneta – quantitative easing. A ben guardare ha ancora un esempio nella crisi greca. Le banche elleniche non sono in grado di distribuire “sangue” a un organismo economico che sta morendo d’anemia. Come fu per gli argentini, i greci hanno dovuto ammettere che l’euro si stampa solo a Francoforte.

Che il dollaro come l’euro siano dei killer? No, sono solo due divise molto forti. Si possono permettere l’euro e il dollaro solo delle economie stabili e in crescita. Con queste considerazioni l’euro è da considerarsi una moneta sbagliata per tutta l’Europa, pur applicando un concetto teoricamente valido. Detto in altre parole, alla teoria non è seguita una corretta applicazione. La stessa superficialità già osservata nella crisi subprime. L’epoca subprime è stata curiosa. Tutto fu studiato per un mercato immobiliare che sarebbe sempre cresciuto. Nessuno pensò all’inversione della tendenza. Possibile che abbiamo una classe dirigente così superficiale?

Ecco che La dollarizzazione della lira solleva un parallelismo ancora sconosciuto. L’euro è in fondo come il dollaro. Due monete molto forti. La lira e il sistema economico italiano sarebbero arroganti se volessero essere rappresentati in euro o dollari. Di fatto è quello che è accaduto. Ora dovrebbe essere chiaro cosa voglia dire la teoria economica nota come: La dollarizzazione della lira.

Cambia il contesto globale: l’altra faccia della globalizzazione

Il volto umano della globalizzazione era, di far accedere al mercato, milioni di persone prima escluse. In linea teorica significa vendere di più. Il ragionamento si presentò come “semplice”. In pratica: se più persone dovessero vivere e mangiare meglio, la civiltà e la democrazia sarebbero più solide.
Questo modo d’architettare il mondo, ha senso se a fronte di una maggiore richiesta di beni e servizi, ci fosse stato un pari aumento d’offerta. Gli economisti più illuminati s’accorsero del dislivello già agli inizi del 2000. La conclusione fu che si considerò superabile il problema. Questo grazie agli alti livelli di produttività e al basso costo della mano d’opera nei paesi in via di sviluppo. A conti fatti si poteva produrre a costi più bassi (ecco perché è nata la Cina come sistema economico in subfornitura) ottenendo risparmi senza scaricarli integralmente sui prezzi di vendita. Una fortuna per il sistema della imprese!
I conti, su questa base, sin dal 2011 non tornano più, per tanti motivi, tra cui non ultimo la speculazione. Grandi masse monetarie, orfane della borsa e del mercato immobiliare, si sono riversate su qualsiasi cosa si possa speculare. Nell’elenco figurano le materie prime (dal 2004), il petrolio (dal 2006 sapendo che il barile ha un costo d’estrazione di 5 dollari) i generi alimentari (dal 2008 che sono stati alla base delle diverse primavere arabe).

Sorge una domanda: che la globalizzazione venga uccisa anche dalla speculazione? E’ molto credibile! Per controllare un fenomeno di questo tipo ci sono molti sistemi tra cui imporre il versamento d’almeno il 75% delle transazioni. Comunque una cosa è certa: la speculazione è il nuovo nemico da battere, ma non solo. Ogni cosa qui detta va completata con gli effetti della “seconda globalizzazione”, in azione dal mese di ottobre del 2010. La seconda fase comporta un radicale ridimensionamento della prima.

Chi progettò la prima globalizzazione, si è dimenticato di un effetto molto importante: la disoccupazione. Che senso ha vendere a dei disoccupati quegli stessi prodotti che sono stati “scippati”/delocalizzati?

La disoccupazione sta facendo traballare non poche cancellerie (soprattutto negli USA). Nasce quindi il concetto di RESHORING. Le imprese tornano in Occidente aprendo nuovi stabilimenti. Di fatto rappresenta lo svuotamento della Cina, com’è stata concepita fino ad oggi. Da qui un rischio sempre più forte di collasso del sistema cinese. Nel 2010 il premier del partito comunista dichiarò: se non cresciamo dell’8% all’anno saremo travolti. Oggi nel 2017 la Cina cresce al 5-6%. Di fatto il sistema della globalizzazione ha arricchito gli industriali grazie al gioco dei bassi costi di manodopera e allargamento del mercato dei beni primari, ma impoverito l’Occidente. Sorge la domanda: quanta disoccupazione può tollerare la democrazia? Il ricordo è alla Germania del 1933 con il 30% di disoccupazione, che portò Hitler alla Cancelleria. Oggi siamo all 11% compreso i giovani al 38%. Su queste percentuali vanno considerati i tempi e la tolleranza della popolazione globalizzata, che è molto ma molto più bassa di quella degli anni Tenta.

Conclusione allo studio: La dollarizzazione della lira.

Come sempre il mondo cambia molto rapidamente. In un contesto di questo tipo, non avere le idee chiare, almeno sulla moneta d’appartenenza, rappresenta un pericolo mortale. Non solo, ma non rendersi conto delle ricadute sociali ed economiche della globalizzazione è a dir poco criminale. Nell’era globalizzata, alla precarietà del lavoro è subentrata anche la precarietà nelle relazioni umane, da cui una società scardinata nel suo più profondo intimo. Ecco il senso dello studio La dollarizzazione della lira. Nel confronto con il dollaro, se la moneta americana esprime la sintesi di un popolo, l’euro resta solo un’accozzaglia tra governi, parlamenti e politici.
Il punto adesso è un altro. Pur sapendo che nessuno vuole ammettere d’aver sbagliato, come usciamo dallo stallo prima di perire in una crisi finanziaria con epicentro l’Europa, dopo quella subprime? Non sarebbe saggio tornare all’Europa delle Nazioni? Ovviamente nessuno è disposto a “tornare indietro” (una della caratteristiche dei malati di nichilismo e di modernismo). Solo gente normale e con grande sensibilità sa tornare indietro. La Cina si è rivelata quel bluff di cui qui, in questo sito si è scritto per chilometri. L’euro è sbagliato e la Ue (non l’Europa che è un concetto diverso) va rifondata. Serve una classe dirigente rinnovata, ma anche un uomo e una donna che sappiano amare di più, studiare di più, leggere di più, capire di più. Forza al lavoro! stavolta non serve che siano i Governi a far qualcosa (hanno sbagliato su tutta la linea). In realtà necessita un intervento dal basso. Ecco che spunta l’UOMO NUOVO, formato come individuale e non più anonimamente collettivo. Una DONNA e un UOMO che sappiano agire al personale nella propria vita, al lavoro, in famiglia, sui figli per rifondare un mondo alla deriva.

La crisi è giunta al suo punto di massima toccando le singole individualità. Significa che abbiamo introitato dentro di noi l’instabilità lavorativa nell’instabilità affettiva. Questo vuol dire una punta del 42% nei divorzi. Il punto successivo è di non ritorno. La ricerca nota come “La dollarizzazione della lira” solleva questi interrogativi. 

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