La democrazia americana è in aperta sofferenza perché c’è un presidente in carica sia privo dei voti certi a sostegno della sua presidenza (il biden eletto da seggi che hanno proclamato il vincitore nonostante stessero ancora arrivando sacchi di voti postali da scrutinare) sia malato.
Il candidato dell’opposizione, il repubblicano Donald Trump, sprizza energia da tutti i pori battendo un ventenne, ma riuscirà a restare così vispo e creativo nei prossimi cinque anni della sua seconda presidenza? Si spera di si!
Di fatto la democrazia più vivace del mondo è bloccata da personaggi che rappresentano delle personalità, ma non delle scuole di pensiero. Mi spiego. Per quanto molto interessato e favorevole a Donald Trump, questi non ha fondato una corrente di pensiero, una dottrina, una tendenza, ma solo un forte caratterizzazione del sé sul sistema americano.
Ripeto, il voto a Trump non è in discussione pur restando un idolo, una figura carismatica, quando al contrario è necessaria una mentalità per gestire la Nazione.
Roosevelt (democratico) seppe indicare una via di gestione applicando i concetti di Keynes in macroeconomia. Kennedy svecchiò la politica americana con idee di grande rinnovamento che non si seppero concretizzare se non nel successore Johnson (anch’egli democratico).
Ronald Reagan (repubblicano) fondò una corrente di pensiero che poi si è persa per strada.
Chi resta? Gli altri presidenti, quelli qui non citati sono stati delle controfigure della politica, il Clinton, l’Obama, i Bush, tutte figure molto modeste.
A questo punto non si vuole esprimere solo una preferenza per il candidato repubblicano o democratico ma, in nome e nell’interesse della Nazione, di una scuola di pensiero che consenta alla più importante democrazia del mondo di sconfiggere la maggiore dittatura comunista, la Cina; il vero pericolo.