La crisi senza accordi sinergici non si affronta bene. Studi del Prof Giovanni Carlini
Per anni la testata “Subfornitura” ha analizzato i distretti a un mondo di lettori che gravita intorno alla subfornitura. In realtà l’obiettivo non era tanto descrivere un modo di produrre, quanto indurre le nostre PMI alla sinergia, perché senza alleanze, o un metodo di lavoro che “faccia sistema”, il futuro è incerto.
Cosa ha scritto Subfornitura sui distretti
Sono stati pubblicati molti studi sul mondo dei distretti italiani e in tutti, senza troppi “peli sulla lingua”, sono stati descritte luci e ombre di un sistema che funziona, pur zoppicando. Non è onesto dipingere a tutti costi, ciò che non luccica e Subfornitura s’impegna ad andare sempre al sodo nelle argomentazioni. Chiarito che il sistema dei distretti industriali, nel bene come nel male funziona, vediamo quali sono le sue caratteristiche di fondo:
– non tutti i distretti funzionano nella stessa maniera;
– ci sono realtà distrettuali particolarmente audaci e spinte, sul piano tecnologico, mentre altre sono alla ricerca di una dimensione nuova per rigenerarsi pena la scomparsa; (ce la faranno?)
– sicuramente tutti i distretti hanno un regime fiscale conveniente;
– oggi si è affacciato ai confini italiani un certo tipo di distretto, costituito da imprese connazionali, trasferitesi in massa, poco oltre il confine. Il riferimento corre alla Carinzia (Austria) come in Croazia, dove ai vantaggi fiscali italiani, riconosciuti all’estero nelle rispettive legislazioni regionali, si aggiungono altre formule, tali da rendere vantaggiosa la gestione d’impresa. In tal contesto vanno enumerati i finanziamenti a fondo perduto o con bassi tassi d’interesse e anche l’utilizzo d’importanti nodi logistici, atti a semplificare l’invio/ricezione di container da paesi terzi, come l’India e la Cina, che sono ancora delle colonie produttive;
– oltre al vantaggio fiscale per chi resta in Italia a produrre, ci sono in essere nuove procedure burocratiche, che aiutano le imprese dei distretti sia nel reperimento dei fondi dalle banche, che nell’emissione di obbligazioni. In pratica il far parte di una realtà economica organizzata, del tipo cluster qui esaminata, è un vantaggio per gli aspetti amministrativi fiscali e finanziari della PMI. Su tutto ciò si aggiunga anche una più strutturata presenza all’estero capace d’offre i suoi frutti, sotto forma di lavoro compensativo, laddove il mercato interno e quelli di sbocco tradizionale restino fermi per lungo tempo (vedi recente esperienza negli USA)
– sul piano dei punti oscuri, il distretto soffre di localismo, anche se sa spingersi all’estero (grazie a una regia governativa) e pecca sul piano dell’innovazione e sviluppo (però non in tutte le realtà) questo perché l’essere piccoli a livello d’imprese (troppo piccoli) ostacola la ricerca e sviluppo, limitando la novità all’occasionale. In queste condizioni non è possibile, anche se sostenuti da fondi europei specifici, poter realmente studiare come sostituire alcuni cicli di lavorazione o materie prime. Ciò comporta ritmi e stili di produzione ancora tradizionali, ovvero in regime di alto costo energetico e d’impiego nelle risorse per unità prodotta. In teoria, ma è un percorso non praticabile, servirebbe che le piccole imprese dei distretti, si unissero per costituire realtà più grandi, ma questo non è possibile perché tradirebbe l’individualismo imprenditoriale nazionale, che il sistema dei distretti tutela.
La sintesi
Parlare di distretti potrebbe anche essere interessante, ma il messaggio in chiaro, lanciato ai lettori è sempre stato molto diverso, per cui:
– serve coordinazione, il concetto distretto è solo un esempio. Le imprese di subfornitura italiane sono talmente piccole, da non poter affrontare non tanto il solo 2011 ma addirittura il mercato globale, per cui necessita una trasformazione. Questo significa adeguarsi agli standard tedeschi, ad esempio, per cui la PMI mitteleuropea ha una media di 25 dipendenti, quando quella italiana, per questo ambito di subfornitura, è appena di 7 unità. La differenza è abissale. Uno scarto d’importanza così elevato pone, tra le tante cose, anche in difficoltà nella ricerca di fondi da fonte bancaria, come da rapporti con eventuali investitori.
– oltre il concetto di coordinazione, serve una politica di fusioni tra imprese, quale antidoto alla scomparsa dal mercato. L’idea individualista di un’impresa di famiglia è un concetto sorpassato. Perseverare su questa strada significa non consegnare un futuro all’azienda, inesorabilmente condannata;
– in alternativa alle fusioni e alla coordinazione, si dovranno ricercare contatti sempre più intensi con la locale Camera di Commercio, per concentrare la capacità d’agire, presentare, progettare, fare, disfare, dire, lanciarsi su fiere e momenti espositivi.
Cosa ci aspetta nel 2011
Fare previsioni è sempre arduo, per quanto ci si possa appoggiare a statistiche, importanti interviste e quant’altro, resta il fatto che il 95% degli analisti non ha saputo prevedere (nonostante ci fossero tutte le premesse annunciate da anni) che a giugno 2008 il mercato collassasse! Sempre tenendo presente questo aspetto, dal 2011 potremmo aspettarci i seguenti scenari:
a) il 2010 si è chiuso meno peggio di quanto ci si potesse attendere. Ingenuamente si pensava che sarebbe stato l’anno della riscossa, quando questa è collocabile non prima del 2015. Il punto, è che troppo spesso tutti dimenticano l’andamento grafico della curva di crisi. Pare che l’attuale difficile congiuntura, sia strutturata su 2 gobbe, ovvero ci sia in atto un “secondo colpo”, paragonabile a quanto si visse nella primavera del 2009. Che ciò avvenga o si realizzi con minore intensità, a noi interessa relativamente, nel senso che abbiamo dei pericolosi segnali a conferma di una seconda svolta nella crisi: il drammatico aumento dei prezzi delle materie prime, in esito alla speculazione. Ecco scritta la “parola magica” da cui deriva tutta la crisi: l’incapacità di vivere con quanto si ha. Questa è la speculazione, ovvero un osare sempre di più, senza porre alcun termine a un turbine d’azioni senza fine. Ne consegue che il 2011, vittima della speculazione, si presenta ai nostri occhi sotto forma di un’incognita, il cui profilo negativo è più o meno tracciato.
b) Se tutto quanto espresso ha una sua logica, i fatturati del 2011 dovrebbero essere in calo rispetto il 2010. Il dato in se per se dice poco. Il punto è un altro. Se il break event point, ovvero il punto di pareggio si abbassa ulteriormente, rispetto il 2008, l’indice di sopravvivenza delle imprese diventa ancora più critico. Avremo più chiusure e fallimenti rispetto il 2010.
Box 1: concetto di punto di pareggio
Il Punto di pareggio: BEP (break even point), identifica la quantità di fatturato necessaria per coprire i costi d’esercizio. Questo dato può essere espresso sia in valore, che in percentuale sul fatturato complessivo, che anche in giorni necessari per pagare l’azienda. Sostanzialmente il punto di pareggio, espresso in forma grafica, indica l’esatta posizione (in giorni, fatturato e percentuale) tale da coprire tutti i costi d’impresa.
Come si calcola: C’è una formula per poter calcolare questo punto. Il problema non è tanto l’applicazione dei conteggi, ma il reperimento dei dati che non sono affatto scontati. Per ottenere queste informazioni, va “riclassificato” il conto economico. Si tratta di un’operazione particolare, necessaria a tradurre il normale conto economico, redatto da un commercialista, da fiscale ad aziendale. Significa mutare il punto di vista, da quante tasse si pagano, a com’è indirizzata l’impresa. In linea di massima, chi svolge questo tipo di attività non è un commercialista, ma un aziendalista, ovvero colui che studia l’impresa dividendola per centri di costo. Comunque eseguita quest’operazione, il cui addestramento richiede appena 4 ore di formazione, i dati necessari all’applicazione della formula sono: i costi fissi, quelli variabili, gli acquisti, il prezzo di vendita e il fatturato. Nel dettaglio qui in una versione semplificata, si dividono i costi fissi dalla differenza fra il prezzo di vendita e il costo variabile unitario. BEP = CF/(PV-CVU)
CF: costi fissi
PV: prezzo di vendita
CV: costo variabile unitarioL’area a destra del punto di pareggio, identifica la zona in cui l’azienda produce utile, al contrario a sinistra, quella in perdita. Va ricordato come il punto di pareggio sia sensibile alla varietà dei beni prodotti o commercializzati, per cui è necessario avere una unità di misura comune a tutte le attività svolte in azienda. Ad esempio:
– in campo edile si possono prendere in considerazione i mq edificati o venduti;
– in uno studio odontoiatrico la prestazione media, quindi il tempo impiegato nella lavorazione per cui valutiamo le ore di lavoro effettivo e il numero di pazienti paganti;
– in una commerciale senza lasciarsi ingannare dalla tipologia delle merci, utilizziamo o il solo controvalore monetario o i metri cubi di merce trasporta/venduta;
– in uno stabilimento d’assemblaggio le ore di moto dei macchinari.
Quando il punto di pareggio è espresso in giorni, si può stabilire in quale mese dell’anno viene raggiunto e quindi da quando si comincia a produrre ricchezza. Quest’ultimo è un dato importante, perché più si colloca verso gennaio e maggiore sarà la redditività d’azienda.
Solitamente le imprese italiane, che non utilizzano piano di marketing, TAM (tendenza annua mobile) e riclassificazione del bilancio, raggiungono il BEP nel secondo semestre, mentre quelle americane, inglesi o tedesche, ormai forti e capaci d’utilizzare la sociologia dei consumi al posto del solo marketing, si posizionano a cavallo tra il primo e il secondo semestre.
c) Per ovviare a questa prospettiva, come già descritto nel paragrafo precedente intitolato “la sintesi”, l’unica alternativa è:
– allargare il mercato interno;
– internazionalizzarsi;
– ridurre le spese fisse (non necessariamente quelle del personale, perché il fattore umano è una ricchezza)
– entrare in sinergia con altre aziende similari, collaborare o costituire un distretto quindi essere parte integrante di fusioni con altri imprenditori.
d) Come descritto nella nota al punto di pareggio, per una corretta gestione aziendale e quindi poter “navigare” nelle acque difficili del quadriennio 2011-2014, è necessario dotarsi almeno di un piano di marketing, ovvero di uno strumento che spieghi cosa sarà l’azienda a 6-12-18 mesi, verificando ogni 30 giorni l’adesione dei dati reali al programmato.
Conclusione
La vita delle nostre imprese sarà già molto difficile nei prossimi mesi, non complichiamocela da soli quando gli strumenti ci sono e basta solo applicarli con sagacia e senso di responsabilità.