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La crisi della globalizzazione. Appunti dal prof. Carlini

by Giovanni Carlini
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Lezione sulla globalizzazione: i motivi, le cause, gli effetti e la crisi della globalizzazione.

Prof. Giovanni Carlini

 

Sul concetto di “globalizzazione” c’è una grande confusione. Nel tentativo di chiarire il senso e sviluppo del fenomeno, sono stati scritti questi appunti.

Quando nasce la globalizzazione

Si può affermare che la globalizzazione, nei suoi effetti pratici, nasce con l’entrata della Cina nel WTO (World Trade Organization) nel settembre del 2001 dopo ben 15 anni di sofferte trattative con il resto del mondo. In realtà l’ingresso cinese nel commercio mondiale deriva da un preciso invito fatto dagli Stati Uniti, per risolvere problemi interni al proprio paese e più genericamente a carico dell’Occidente.

Perché la Cina è stata chiamata a far parte dell’economia mondiale/1

Nei primi anni Settanta gli Stati Uniti, con la Presidenza Nixon, si trovarono ancora a combattere nel Vietnam una guerra senza il sostegno e favore della Nazione. Iniziata già nel 1961 con la Presidenza Kennedy e senza concrete possibilità di vittoria, la guerra ormai doveva essere chiusa. Il segretario di Stato, Henry Kissinger avviò quindi delle trattative segrete con la Cina per ottenere lo sganciamento degli Stati Uniti dall’Indocina. Il complesso dei rapporti politici che ne seguirono fu chiamato “diplomazia del ping pong” basandosi sul confronto sportivo delle rispettive squadre.

In pratica Kissinger disse alla Cina: appena nel 1952 avete subito l’ultima carestia che ha provocato 25 milioni di morti (2 volte e mezzo i caduti della sola 1° guerra mondiale in Europa), noi possiamo risolvere il problema di secoli di povertà e miseria che affliggono la Cina, troviamo un accordo? Seguendo questa strada, si giunse anche a una breve guerra cino-vietnamita (1979) su attacco cinese, successivo al definitivo disimpegno statunitense dal Vietnam (1975) e quindi la localizzazione di una serie di stabilimenti produttivi, con capitale americano, al fine di produrre a basso costo di mano d’opera (2 dollari l’ora) per le necessità del mercato statunitense.

Perché la Cina è stata chiamata a far parte dell’economia mondiale/2

In realtà la Cina come distretto industriale per l’Occidente, non ha seguito solo il richiamo statunitense, ma è servita per risolvere un grave problema di malcontento che ha colpito negli anni Ottanta e Novanta tutto il mondo Occidentale.

In quell’epoca gli Occidentali godevano di un buon salario (sul piano nominale) senza però poter comprare effettivamente la quantità di beni desiderata. In pratica c’erano i soldi, ma non una quantità di beni a buon prezzo. Questo stallo provocò un disagio tale nella popolazione che ebbe la sua ripercussione schizofrenica sul voto oscillando tra destra-sinistra, centro destra/sinistra, lasciando anche il campo al terrorismo politico. Per risolvere questo stato di disagio e nell’impossibilità di ridurre gli stipendi agli operai e dipendenti (il sindacato avrebbe letteralmente divorato quell’azienda che avrebbe osato ciò) e anche per consentire al sistema industriale di riprendere a produrre per guadagnare e vivere, servì la valvola di sfogo cinese, in grado di ridurre a 2 dollari il costo orario rispetto i 32 euro/ora tedeschi e i 26 euro/h italiani.

La delocalizzazione

Si tratta di un fenomeno intimamente connesso alla globalizzazione, che comporta il trasferimento fisico della produzione dall’Occidente ai paesi emergenti (Brasile, Indonesia, Sud Africa, India e Cina) affinchè producano per le necessità dell’Occidente.

Gli errori commessi

Nessuno si è reso conto fino allo scoppio della crisi sub prime (2006-2007) che la delocalizzazione ha comportato la perdita di posti di lavoro in Occidente.

Detto in altri termini, se prima del 2000 l’Occidente era scontento avendo soldi ma poca merce, dal 2008 in poi si è trovato senza soldi (disoccupazione) e tanta merce a basso prezzo. In fondo la scontentezza è rimasta invertendo i fattori.

Dal marzo 2012 si trova un primo correttivo agli errori della globalizzazione: Reshoring

Il Presidente degli Stati Uniti, nel 2012 stava rischiando la non rielezione causa una gravissima disoccupazione nel suo paese (e non solo, pensiamo anche all’Europa).

Chiesto aiuto alla facoltà di sociologia dell’Università di Chicago (la più importante del mondo su quest’argomento) fu formulata la teoria del Reshoring, in base alla quale si chiede agli industriali che hanno delocalizzato (già ricchi) di rientrare in Patria godendo di esenzioni fiscali e riduzioni nei prezzi di realizzazione dei nuovi impianti (diventando ancora più ricchi).

Il Reshoring è stato un successo negli Usa e in Gran Bretagna, mentre non è stato ancora recepito dai tedeschi, francesi e italiani.

Un secondo correttivo agli errori della globalizzazione: made in America

Nella campagna elettorale per il secondo mandato presidenziale, nell’autunno del 2012, il Presidente Obama ha chiesto all’America di comprare “made in America” contrastando apertamente il “made in China”. Da quel momento in Occidente si va sempre più confermando una tendenza a isolare ed escludere le merci cinesi dagli acquisti, accelerando l’esodo dalla Cina delle fabbriche occidentali. Infatti la Cina, per l’intero 2015, ha accusato mese per mese importanti riduzioni nella quantità di beni prodotti, forti contrazioni nella borsa valori e il sospetto di una bolla speculativa immobiliare per 300mila o forse 500mila immobili invenduti, che stanno marcendo a Shanghai, frutto dei primi risparmi degli operai cinesi. Si può pensare che la Cina sia una vittima dell’Occidente? Francamente no. E’ stata concessa un’opportunità alla Cina producendo solo per l’Occidente, che ora deve proseguire per il benessere dei cinesi. Attualmente il governo comunista cinese è particolarmente attivo nella spesa per opere pubbliche e militari: sommergibili, portaerei, carri armati ferrovie ad alta velocità e dighe.

Cosa si sarebbe dovuto fare per evitare la crisi della globalizzazione?

Le aziende cinesi, brasiliane e altre avrebbero dovuto produrre anche e soprattutto per il loro paese anziché solo per l’Occidente. Questo però urta, ad esempio in Cina, nei progetti del Partito Comunista Cinese, che non può permettere la diffusione del consumismo in Cina, pena la perdita del suo potere.

Conclusione, questo è dimostrato dagli intensi flussi migratori in essere da diversi anni e particolarmente forti nel 2015. Non solo. Fatti come l’ISIS e la forte contrapposizione del mondo islamico verso l’Occidente, confermano la non volontà verso alcuna integrazione. Per di più la globalizzazione non ha mai voluto studiare la profonda e intima differenza tra culture (individualismo in Occidente contro il sistema delle tribù o caste o del “sta scritto così” che uniforma i comportamenti nelle restanti 8 culture del mondo).

Di fatto, senza dichiararlo, siamo tutti alla ricerca di un nuovo modello di relazione tra culture, alla luce dell’emergenza immigrazione e anche di un sistema produttivo industriale, che riconosca l’importanza della piena occupazione in ogni singolo paese dell’Occidente.

Si rammenta che è dall’Occidente (appena il 10% della popolazione mondiale e quella più ricca nel pianeta) che emergono le idee, concetti, punti di vista, progetti e visioni che muovono il resto del mondo, grazie alla ricerca scientifica e umana, realizzata indipendentemente dalla razza, casta, orientamento religioso e credenze dei suoi appartenenti. Per essere occidentali non serve nascere in un posto geografico specifico, ma credere nella parità di genere e nel valore delle idee come sistema di contradditorio sociale.

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