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La crescita del PIL grazie ai servizi vale qualcosa?

by Giovanni Carlini
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La crescita del PIL che l’Italia sta registrando in questi mesi del 2023 è da considerarsi valida se trainata dai soli servizi con il settore manifatturiero in arretramento?

Qualsiasi crescita del PIL va bene, in particolare per una Nazione sul pelo del fallimento per eccesso d’indebitamento!

Chiarito che a “caval donato non si guarda in bocca” resta la riflessione profonda.

I servizi intesi come settore turistico, contabile quanto legale che abbiano uno sviluppo o no, cambia poco se non nulla nella ricchezza delle Nazioni. Al contrario chi è portatore di benessere è l’industria!

I posti di lavoro nei servizi vanno e vengono.

Un occupato nell’industria, solitamente giunge a pensione e tfr 45 anni dopo. Non si può affermare altrettanto per alberghi, bar, ristoranti e uffici. La totale e completa non stabilità del posto di lavoro nel settore dei servizi squalifica l’intero settore. Ciò però non vuol dire che i “servizi” non dovrebbero esserci, assolutamente! Però tra il “non esserci” e contare il 75% del PIL c’è una bella differenza.

Oggi il PIL è formato per il 75% dal settore servizi (dato arrotondato) lasciando all’industria appena un 16%.

Ciò che qui si lamenta è la sproporzione tra settori, non avendo alcuna se non poca considerazione di quello riconducibile ai “servizi”.

Il valore del settore servizi lo si è visto in era pandemica. Bar, alberghi e ristoranti si sono dichiarati del tutto inutili per la società civile. va anche detto però che i supermercati (che appartengono alla GDO, grande distribuzione organizzata) sono stati rilevanti. Certamente il supermercato vende quanto prodotto dal primario (alimenti) e industria (ancora alimentare, detersivi, carta e altro). Ecco che la GDO diffonde un qualcosa che è stato prodotto.

Concludendo, il PIL legato al ramo servizi, non è fonte di certezza di ricchezza per il futuro quanto invece proviene dall’industria. Una revisione tra peso del secondario/primario e servizi sul PIL è auspicabile. L’industria dovrebbe contare almeno un 25% sul PIL, l’agricoltura un 4% e il resto a chi oggi è esagerato.

Nelle attuali condizioni, la crescita del PIL sul lungo tempo è a rischio.

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