La cicatrice non invalidante. E’ uno dei brani più belli mai scritti su questo argomento.
La cicatrice non invalidante serve per una vita migliore. A Flagstaff (Arizona) scendo a fare colazione in albergo e trovo seduta davanti a me, di spalle, una Signora. Non più giovane, ma orgogliosa nella sua vitalità, espone un generosa scollatura sia sulla schiena che probabilmente anche sul décolté. Ciò che mi ha colpito è stato vedere sulla schiena una profonda quanto estesa cicatrice.
Credo che le “sue” coetanee italiane non sarebbero state così generose e anticonformiste. Tutte le donne considerano generalmente la cicatrice invalidante per la loro estetica. Qui, invece, la Signora ha incorporato la sua storia e evoluzione fisica, accettandosi. Nasce il concetto, la cicatrice non invalidante.
A parte la profonda emozione e rispetto che ho provato per questa impavida e coraggiosa Signora, il pensiero corre alle imprese. Nel paragone, la cicatrice potrebbe essere una condanna penale. Un affare non risolto adeguatamente. Una causa o cartella esattoriale. Ebbene in tanti anni, non ho mai visto degli imprenditori capaci di “capitalizzare” le brutte avventure. Persone in grado di discutere i fallimenti apertamente in azienda. Gente che studia come non ricadere nell’errore commesso, facendo scuola dalla brutta avventura. Insomma trovo poca-pochissima autocritica e molta voglia di “nascondere”. Ne deriva una strutturale incapacità d’analisi.
In genere il ragionamento tipo è “speriamo che me la cavo”, oppure, è sempre stato fatto così”. Quindi una diffusa tendenza “a campare alla giornata”. Ebbene questo “metodo” di sopravvivenza non è corretto! Servono politiche del personale per contenere i costi e alzare la produzione. Quindi piani di marketing. Sicuramente serve la capacità di far tesoro delle brutte esperienze. Sarebbe saggio che la cicatrice non invalidante diventasse un “casi da scuola”. Eventi ampiamente dibattuti tra le persone più fidate in azienda.
A tal proposito serve rammentare quanto sia strategico formare in azienda quel “comitato di crisi”.
Il comitato è un gruppo ristretto presieduto dall’imprenditore. Le sue riunioni durano non più di 15 minuti. E’ importante che ognuno sia educato a dire la sua senza alcun ritegno e timore. Da questo scambio d’opinioni si ottengono dei risultati del tipo:
– l’imprenditore è stimolato dal contradditorio ponendosi in discussione;
– la gente più fidata si trova in una posizione evolutiva;
– la “tempesta di cervelli” (brainstorm) che deriva dall’interazione, va verbalizzata. Questo perchè nessuna idea vada perduta. Tutto ciò contribuisce a costituire un diario da rileggere nel corso del tempo, trovando soluzioni.
Un metodo di lavoro di questo tipo va incontro al bisogno di personalizzazione delle politiche aziendali. Una strategia utile per fronteggiare la depressione economica. Come già affermato in altri passaggi del Taccuino Americano, siamo entrati nell’era delle soluzioni individuali. Questo perché sono venute meno le scuole di pensiero.
Le sfaccettature degli eventi sono così complesse e articolate che non è più possibile parlare di “punti di equilibrio” e dottrine. La nuova prospettiva è quella di formare politiche commerciali-di marketing-negli acquisti-nella qualità che siano specifiche e personali per quell’impresa. Per giungere a questo livello serve l’attivazione del comitato di studio interno all’azienda.
Una iniziativa che non aumenta i costi aziendali. Apre alla formulazione delle strategie d’impresa che vanno spiegate ai consumatori per ottenere fidelizzazione.
Gli incontri da 15 minuti al giorno è saggio siano organizzati intorno a un caffè fumante e brioches. Il motto è “fare sempre un’offerta che non si può rifiutare”. Al termine di una giornata di lavoro, nell’osservanza dell’orario, è difficile non fermarsi intorno a un aperitivo.
Se tutto questo venisse rispettato si penserebbe di più, quindi si vale di più sui mercati in quote e vendite. Così confermato che gli errori sono motivo di crescita, non di vergogna.
In questa maniera potremo fregiarci di un bel décolté, con quella dignità che le donne sanno così ben esporre. La cicatrice non invalidante.