Home CULTURA E SOCIETÀCRISI DELLA GLOBALIZZAZIONE E POLITICA Inverno al posto della primavera araba. Prof Carlini

Inverno al posto della primavera araba. Prof Carlini

by Giovanni Carlini
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Inverno arabo al posto dell’idea di primavera

Inverno! Lo spunto per un ripensamento delle vicende arabe nei confronti del rapporto con l’Occidente, non viene solo dalle elezioni tunisine, da quelle egiziane e dai tormenti libici, per non parlare di Siria e Yemen, ma dai nuovi dazi alle importazioni, applicati ai produttori d’acciaio italiani.
Nel dettaglio, i 23 paesi della Lega Araba dovrebbero ratificare, nel corso del mese di gennaio 2012, l’applicazione di nuove norme alle importazioni per proteggere la nascente industria locale. Per il momento i dazi sono rivolti ai prodotti finiti e non alle materie prime e i semilavorati, come billette e bramme.

Questo provvedimento colpisce l’export nazionale (anche questo è un inverno) reduce da diverse stagioni particolarmente intense. Si è venduto tutto e di più, senza curarsi minimamente degli aspetti culturali che ci dividono da quell’area.

I due più clamorosi errori della globalizzazione, sono stati infatti sia l’aver permesso una delocalizzazione selvaggia, che oggi è alla base della depressione dei mercati interni occidentali (chi non lavora non ha denaro da spendere) che la pretesa che di poter relazionare con il mondo, solo su basi economiche anziché anche e soprattutto culturali.

L’applicazione dei dazi dimostra due cose:

a) che è stata fatta una scelta tra importatori occidentali e italiani in particolare, con quelli turchi a cui tali limitazioni non sono state applicate (qui si giustifica l’aspetto culturale)

b) che la lezione di Enrico Mattei, applicata tra il 1952 e il 1963 per un crescita congiunta tra “noi e loro”, non è stata ancora capita e applicata. Mattei scombinò il mercato degli approvvigionamenti di petrolio negli anni Sessanta, elevando dal 25 al 50% il guadagno dei paesi arabi nell’estrazione e favorendo la raffinazione in loco, con tecnologia italiana. Questo evidentemente non è stato fatto dall’industria siderurgica italiana, che si è limitata a vendere senza progettare un futuro per il cliente (aspetto strategico-economico)

Il secondo punto merita un’ulteriore approfondimento. Le più banali tecniche di vendita, del tipo “vendita strategica” sollecitano il venditore che diventi un alleato per crescere insieme al cliente. Perché quello che viene normalmente insegnato nei corsi, anche all’università in ambito di marketing, poi resta lettera morta all’atto pratico?

Vendita strategica è una tecnica del tipo “vinco io-vinci tu”, in un più ampio contesto che prevede altre 3 possibilità: “vince lui-perdo io”, oppure “vinco io-perde lui” (ma non tornerà più da noi per comprare) e infine “perdo io-perde lui”. Non è questa la sede per annoiare il lettore sulle tecniche di vendita, ma l’aspetto che emerge con maggiore importanza è quanto sia necessario allungare le rotte commerciali per trovare interlocutori in ambito di import-export. Detto in termini più diretti, perso (in realtà reso più difficile) il mercato arabo, bisognerà spingersi oltre i 1.000 km per trovare possibilità commerciali rivalorizzando l’Africa nera, l’Asia, il Sud e il nord America, senza dimenticarsi l’Australia-Nuova Zelanda. Laddove lo sforzo più grande dell’export italiano è ora attestato sui 7.000 km, bisognerà saper affrontare anche i 12.000 per raggiungere l’Oceania.

A questo punto diventa più importante leggere, capire, entrare in contatto con le Camere di Commercio italo-straniere, accordarsi a chi già lavora con su base mondiale (i tedeschi) e lasciarsi portare su nuovi mercati. Il mondo arabo ha grossi problemi sociali e culturali, assumendo quel tipico atteggiamento di protezione per chi deve riflettere e riannodare l’attualità con la sua storia.

Quest’azione di ripensamento comporta necessariamente una chiusura. Poco male, c’è ancora tutto il resto del mondo che ci aspetta. Buon lavoro.

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