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Internazionalizzazione, un mare agitato in cerca di strategia

by Giovanni Carlini
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Internazionalizzazione, opportunità e rischio.

Internazionalizzazione come scommessa e rischio. Ogni giorno giungono in redazione richieste di consigli sui processi d’internazionalizzazione. Ecco cosa è stato risposto a un lettore.

PUNTO PRIMO: perché muoversi?

Anno dopo anno, i conti aziendali non si chiudono mai in termini drammatici. Nonostante ciò manca sempre qualcosa rispetto all’anno precedente. Detto con altre parole non ci sono spazi di ripresa adeguati. Si tratta di una situazione contingente o costante? Come fu scritto in questo sito web: un’impresa si costruisce il fallimento portandoselo cucito sulla pelle. Di fronte a 10mila fallimenti di piccole realtà a Milano, se l’intenzione è d’avere un futuro, serve una strategia.
Le possibilità solitamente sono 3. Proseguire la gestione dell’azienda fino al conseguimento della pensione lasciando che i figli si arrangino. Fallire oppure come terza opzione, impostare una strategia.

La strategia è solitamente concentrata in 2 macroaree: produzione o commerciale.

Nel caso della produzione l’internazionalizzazione è quasi un obbligo. A dir la verità potrebbe esserlo anche nell’ambito commerciale, ma è più difficile.

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ovunque indicare sempre la qualità del materiale impiegato: è il segreto di un buon rapporto con il cliente

SECONDO PUNTO: cosa vogliamo?

Concretizzare una strategia significa essere un’impresa fotocopia di un’altra o avere tratti d’originalità? Ad esempio i negozi d’abbigliamento. Seppur visitati a raffica nello shopping, francamente è difficile trovare tratti di novità in questo settore. Certo l’argomentazione è discutibile! Sicuramente la ricerca di una strategia comporta l’assunzione di una scelta originale. L’internazionalizzazione, per restare sul mercato, dovrebbe far parte di questa scelta. Vuol dire o collocare i prodotti sui mercati esteri o riceverne. In un modo o nell’altro essere internazionalizzati tutela l’impresa dal fallimento.

TERZO PUNTO: i passaggi successivi perseguendo l’internazionalizzazione.

Operata una scelta di campo e volendo concretizzare contatti all’estero è bene che:

a) un titolare parta per incontrare la controparte estera. L’incontro può avvenire o in una fiera o grazie a studi di settore sviluppati tramite l’ICE;

b) venga proposto al contatto locale un itinerario di crescita a tappe. L’obiettivo è giungere alla definizione di una nuova impresa (sempre di minoranza);

c) se la prima fase è positiva, si procede al trasferimento di macchinari e assistenza tecnica. In line di massima in 3 mesi ad opera di 2 o 3 capi reparto a rotazione assicurando la conformità del prodotto agli standard;

d) se la fase tecnica (3 mesi) si esaurisce positivamente, è necessaria una presenza all’estero per 2 o 3 anni. Qui emerge la figura del residente estero. Un professionista italiano che agisce all’estero per lungo tempo nell’interesse dell’azienda. Questa attività NON dovrebbe essere svolta da un dipendente;

e) prima di fare qualsiasi passo all’estero serve un piano di marketing. Il documento è bene che lo studi un esterno all’azienda. L’obiettivo è quantificare le prospettive di mercato prudentemente considerate. I tempi e i costi. In tutto sono passati 6 mesi dal primo viaggio;

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il titolare di un negozio di parquet negli Usa. Notare alcuni tratti caratteristici che ne fanno un ambiente nazionale e anche aperto all’estero.

CONCLUSIONI

Quanto indicato rappresenta “il metodo e sistema” per la gemmazione delle nostre imprese nel mondo. Va rammentato che a regime, l’azienda dovrebbe poter contare su diverse sedi ester. Una nel Nord America, quindi Argentina, India, Australia, Sud Africa e forse in Giappone, se si opta per una sistematica partecipazione di minoranza (che è la più prudente e sicura).

Buon lavoro[/fusion_builder_column][/fusion_builder_row][/fusion_builder_container]

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