Internazionalizzazione: criteri e procedure
Internazionalizzare un’azienda significa aprirla verso l’estero in termini di:
- interscambio;
- collaborazione nella ricerca congiunta di nuovi prodotti attraverso un processo di ricerca e sviluppo spesso finanziato con fondi UE.
Detto questo cerchiamo di capire meglio cosa voglia dire internazionalizzazione. E’ saggio che un’impresa collochi all’estero il 40-50% del suo fatturato. Ovviamente ci sono aziende che lavorano all’80% per i mercati esteri ma anche realtà che non sanno neppure cosa sia l’oltre confine. Cercare metà del fatturato in altri paesi, vuol dire vendere il proprio prodotto, ma anche acquistare dei beni intermedi come produrli all’estero per le necessità di quei mercati (ci si augura di NON importarli nella propria Nazione, lucrando sul basso costo della mano d’opera, per evitare la delocalizzazione “cattiva” quella dannosa al Paese). Non basta. Internazionalizzare vuol dire anche (ed è questa la parte più complica e ostica per le aziende italiane) acquisire una mentalità tale per cui nessuno osa pensare di collocarsi sui mercati stranieri, senza un “residente”, ovvero una persona di fiducia dell’impresa che si trasferisca per anni nel nuovo mercato. Qui sorgono dei problemi enormi, perchè quasi nessuno è disposto a trasferirsi per lungo tempo (uno dei difetti degli italiani)
Passando alle fasi di un processo di internazionalizzazione, possono così essere riassunte:
PRIMA FASE: SERVE UN ECONOMISTA-SOCIOLOGO (durata 40 giorni)
In questa fase si studiano i diversi paesi (30/40 anche 70 stati diversi in più continenti) dove sarebbe teoricamente collocabile il prodotto dell’azienda italiana. Attraverso le tendenze macroeconomiche bisogna capire non solo la capacità dei consumatori/imprese locali a comprare agevolmente le soluzioni proposte, ma anche la segmentazione sociale del consumo (ecco perchè è importante il sociologo in ogni fase della internazionalizzazione). Ad esempio consuma solo una fascia limitata di popolazione e molto ricca (paesi arabi) o un’intera generazione in crescita (India) oppure tutto un popolo che spende più di quanto guadagna pur essendo molto selettivo (Stati Uniti)?
SECONDA FASE: QUI INTERVIENE IL MARKETING CHE PUO’ ANCHE ESSERE SEGUITO DALL’ECONOMISTA SOCIOLOGO CHE HA SVOLTO LA PRIMA PARTE SE CAPACE (durata 60 giorni)
Studiate le dinamiche di consumo dei diversi mercati e fatte le opportune scelte, il processo d’internazionalizzazione passa ora alla ricerca degli interlocutori adeguati che possono essere consumatori, agenti, imprese, governi. Si tratta di trovare i giusti canali e il linguaggio per aprire un epistolario finalizzato all’appuntamento al vertice, che solitamente si realizza nella fiera di settore. A questo appuntamento è bene che sia presente l’imprenditore, affinché imposti a suo piacimento la prosecuzione del rapporto commerciale. Ovviamente il consulente sarà sempre presente ma ci sono dei passaggi che devono restare nell’ambito della proprietà. E’ importante tornare su un aspetto: il linguaggio. Ambiti diversi richiedono formule espressive altrettanto diverse. Qui il sociologo è strategico per entrare nella sensibilità dell’interlocutore. Conoscere la lingua del posto non è così importante come potrebbe apparire in prima battuta, quanto capirne gli usi e abitudini grazie ai quali farsi accettare sia come residente che interlocutore.
TERZA FASE QUELLA TECNICA (durata 6 mesi)
Un processo di internazionalizzazione non comporta per forza di cose l’interscambio. Nei casi più evoluti e grazie agli ingenti fondi alla ricerca che esistono in ambito UE è saggio che le 2 o 3 imprese che si sono “fidanzate” possano studiare e realizzare un nuovo prodotto avviando anche delle joint venture. Nella terza fase il sociologo-economista resta team leader, segnando il ritmo della ricerca agli esperti e ingegneri chiamati a raccolta.
Ecco brevemente sintetizzato come si sviluppa un processo d’internazionalizzazione. Buon lavoro.