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Internazionalizzazione frettolosa, i pericoli in agguato

by Giovanni Carlini
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Internazionalizzazione frettolosa. In questo studio viene affrontato un problema di scelta in ambito d’internazionalizzazione.

Internazionalizzazione frettolosa: un guaio da evitare. Va prima spiegato come la delocalizzazione e l’internazionalizzazione si siano evolute in questi ultimi tempi.

La delocalizzazione è ancorata al solo trasferimento della produzione all’estero. L’internazionalizzazione si è evoluta su un percorso diverso.

In effetti l’internazionalizzazione risponde alla strategia è di restare in Italia per produrre e quindi vendere all’estero. Non solo, internazionalizzarsi significa integrarsi con una parte di produzione appositamente delocalizzata per presidiare mercati esteri in crescita.

Chiarita la differenza fondamentale tra due concetti che spesso si confondono, ora la novità. Una lettera inviata a un imprenditore che ha chiesto dei chiarimenti tra due scenari possibili: Brasile e Stati Uniti d’America.

 

Buongiorno Signora, sull’imminente missione in Brasile e le opportunità negli Usa ci sono delle considerazioni da fare. Dobbiamo evitare l’internazionalizzazione frettolosa.

Confronto tra il vendere tecnologia in Brasile e l’insediarsi nel mercato nordamericano

La missione brasiliana si può sintetizzare in questo modo: vendere tecnologia. Ottimo! Fatevi pagare l’esperienza. Questo comporterà l’invio a rotazione di un certo numero di capi reparto per fermarsi un mese circa a testa. I brasiliani pagheranno tutto (come fecero i cinesi, anni fa, con i nostri imprenditori. Ricordo il caso del distretto della rubinetteria di Novara) Poi produrranno loro, per noi in concorrenza.

Interessante è invece il percorso dell’industria aeronautica che porto ad esempio. Il riferimento è alla Boeing. La società americana ha permesso agli italiani di costruire parti della fusoliera d’aerei commerciali (Dreamleaner). La Boeing ha però trattenuto la tecnologica relativa alle ali, gelosamente realizzate a Seattle. In questo modo il ciclo produttivo è stato solo integrato, non delocalizzato. L’esempio si può estendere alle grandi firme della moda: Armani e Versace. Questi personaggi producono italiano e vendono nel mondo il nostro stile. Non hanno delocalizzato svendendo marchio e imprenditorialità. Il concetto di fondo è lo stesso: evitare l’internazionalizzazione frettolosa.

Dove voglio portarvi

Senza ombra di dubbio, integrare i brasiliani nel loro ciclo produttivo comporta la chiusura di alcuni reparti in Italia. In questo modo consentite ai latini di completare la produzione. Nella prospettiva voleste importare qualcosa in quel paese, vanno anche considerati i dazi. Stiamo parlando di un dazio che oscilla dal 30 al 60%. Il Brasile è immaturo per l’economia integrata.

Sappiamo anche che i dazi sono evitati con il semilavorato. Infatti i semilavorati non sono soggetti ad alcun dazio in Brasile e nel mondo. L’idea è di rovesciare i termini del problema. NON consentire al Brasile di realizzare in toto il nostro prodotto. Lasciando i brasiliani attivi su una parte del ciclo produttivo per cui opererebbero solo come semilavorato. L’assemblaggio finale resterebbe in Italia.

In realtà io opterei per gli Usa. Andrà costituita una R. America spa, in grado di interagire con il mercato americano. In questo non ci sarebbe alcuna cessione di quote di tecnologia. Comunque, a differenza con il Brasile, negli Usa completerei il ciclo produttivo. L’assemblaggio finale negli Usa apre al mondo. I brasiliani non sono il mondo, gli americani si!

Conclusioni per evitare una internazionalizzazione frettolosa

La società “R” si trova al bivio che molti altri imprenditori italiani hanno dovuto affrontare. Il rischio di cedere “chiavi in mano” la storia aziendale è reale. Questo accade specie per seconde o terze generazioni che non hanno sofferto la fondazione dell’azienda. La scelta tra il Brasile e gli USA è profondamente opposta.

Buon lavoro!

Giovanni Carlini

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