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Il prigioniero da Parkinson: una cultura espressiva specifica

by Giovanni Carlini
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QUESTA VERSIONE DEL TESTO E’ STATA APPOSITAMENTE MODIFICATA PER CONSENTIRE UNA MIGLIORE LETTURA ALLA COMUNITA’ DEL PARKINSON

Il prigioniero da Parkinson richiede una cultura espressiva specifica come ad esempio il carattere di scrittura. Da qui si parte per un ragionamento che transita anche dall’umore inizialmente ostile per solo dopo aprirsi alla relazione sociale matura.

In effetti negli articoli scritti negli ultimi tempi a favore de il prigioniero da Parkinson non ho pensato al carattere di scrittura. Ne consegue che giunge, mezzo email questo messaggio:

Commento:
Beh,
di sicuro una cosa: quale affetto dal morbo di Parkinson (Parkinson’s Disease) faccio molta fatica a leggere questi caratteri che a tratti mi risultano invibili.
Quindi, per cominciare, se uno volesse attivamente occupasi ad aiutare gli altri dovrebbe per prima cosa metterli a loro agio e usare caratteri di scrittura più chiari, più nitidi.
Non riesco a commentare sul contenuto dovuto all’affaticamento nel tentare di leggere.
Cordiali Saluti

La prima risposta è stata:
prendo atto della sua critica costruttiva.
Mi parla di carattere; ok, ho capito!
Vediamo cosa riesco a fare.
Ha delle preferenze?
Grazie per quanto mi suggerisce, il Suo punto di vista è importante!
Buona domenica.
Giovanni Carlini

parkinson

Che cosa è emerso da questo scambio di posta email con un lettore?
E’ VERO! non avevo pensato al carattere di scrittura per una persona nella condizione de il prigioniero da Parkinson.
Ovviamente ho provveduto, per cui oggi escono gli studi con un carattere, passano al gestore del sito che in 12 ore li trasforma per renderli leggibili alla comunità.
Tutto questo appare sostanzialmente banale, fino a quando lo stesso personaggio, avendo aperto un epistolario con me scrive ancora:
Volevo soltanto aggiungere alla mia mail di prima che Lei ha fatto bene a non proseguire la collaborazione col Prof.,,,,, il cui approccio al tema appare essere unidirezionale, asimmetrico e direttivo, oserei dire “top-down”.
Il mondo del Parkinson è meglio che sia approciato con una dinamica endogena, con uno stile socratico di “sapere di non sapere” opposto a quello platonico di “sapere di sapere”, oserei dire “bottom-up” conoscendo le persone, gli enti, le dinamiche, i sentimenti di coloro che questo universo lo frequentano e venendone coinvolti. E battersi per il progresso anche minimo di ogni conoscenza.
Unendo il concetto del carattere di scrittura al bisogno di partire dalla base per comprendere il mondo e i problemi de il prigioniero da Parkinson nasce il motivo per cui questo studio viene pubblicato, ovvero:
BISOGNA PARTIRE DALLA BASE, DAL MALATO, DA IL PRIGIONIERO DA PARKINSON PER RIVOLGERSI A QUESTO MONDO CON SPIRITO DI SERVIZIO E DESIDERIO DI CIVILTA’.
Non si tratta di populismo da strapazzo, ma di una metodica di lavoro molto precisa che vuole coinvolgere la base per costruire una “casa comune”.
Ho la netta sensazione che le persone nella condizione de il prigioniero da Parkinson siamo passive e subiscano la malattia senza reagire nei termini di una comunità che soffre ma pensa, che dichiara ma piange, che chiede pur trovandosi in uno stato d’alterazione comportamentale.
Ecco un altro aspetto!
Il prigioniero da Parkinson ha uno standard comportamentale inizialmente irascibile e ostile, solo dopo riesce ad elaborare un pensiero socialmente evoluto. Si tratta ovviamente di una estremizzazione e generalizzazione, come tale soffre di ogni difetto possibile immaginabile, ma va segnalato come limite da superare. Non basta soffrire per giustificare un essere rude, al contrario, ci sono molti esempi di persone che hanno sofferto e si sono ingentilite.
Ecco un passaggio nuovo: INGENTILIRE LA COMUNITA’
Infatti la email successiva del signore che ha provocato questa riflessione è stata:
Grazie per la celere risposta, Professore:
qualsiasi carattere va bene purchè chiaro e nitido, come ad esempio nella zona sottostante la Sua mail, anche con un corpo più piccolo.
Vede, chi ha il Parkinson normalmente ha una certa età che si porta appresso delle co-patologie generatesi negli anni precedenti.
Se lo farà – non è obbligatorio – mi troverà Suo attento e assiduo lettore.
E se potrò contribuire anche solo marginalmente alla causa del Parkinson sarà anche per merito Suo.
Per il momento voglia gradire i miei migliori auguri di buona domenica!

Ecco qui dimostrato come in seconda battuta, lo stesso personaggio nella condizione de il prigioniero da Parkinson assume nell’arco di solo 2 ore un atteggiamento socialmente evoluto, corretto, gradevole e ingentilito.
E’ partito “scocciato” per conquistare, poco dopo, la civiltà di una relazione sociale matura e profonda (non perchè solo educato come ampiamente dimostrato della successiva corrispondenza eccezionalmente ricca d’umanità e cultura).
Conclusioni:
– per la comunità del Parkinson esistono delle specifiche che vanno rispettate per cui anche lo scritto deve avere un carattere dedicato nel rispetto dei limiti che si stanno soffrendo (questo vuol dire ripensare allo stesso ambiente in cui vive una persona nella condizionede il prigioniero da Parkinson – muri, colori, forma delle sedie, ambienti, musica di sottofondo, pavimenti etc..)
– attenzione al bisogno d’ingentilire il modus comportamentale de il prigioniero da Parkinson passando da uno status di “incazzato” a socialmente aperto e motivato;
– un altro passaggio importante è servire la comunità partendo dal basso, motivando la base per costruire una “casa comune” per tutti coloro nella condizione de il prigioniero da Parkinson che non sia una prigione, ma un albergo o abitazione per accogliere i diversi Parkinson come spiega “il mio amico e corrispondente d’epistola che mi sta educando al suo dolore” – grazie per questa scuola che sto ricevendo.
Appunti di studio per una terapia sociologia al Parkinson – Prof. Giovanni Carlini

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