Home CULTURA E SOCIETÀCRISI DELLA GLOBALIZZAZIONE E POLITICA Il nuovo secolo americano. Studi Prof. Carlini

Il nuovo secolo americano. Studi Prof. Carlini

by Giovanni Carlini
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Il nuovo secolo americano che si apre dal 2000 proseguendo ad oggi, 2020

Premessa

Il primo ventennio del nuovo XXI secolo, sia per gli Stati Uniti sia per il resto del Mondo, porta con sé tutte le conseguenze delle scelte fatte dagli anni Settanta in poi del Novecento. In particolare si è assistito allo sviluppo e forse conclusione o comunque forte ridimensionamento dell’evento globalizzato in seguito alla pandemia da polmonite cinese. Al momento (estate del 2020) in attesa della seconda ondata del virus, prevista in autunno, non è ancora possibile stabilire quali prospettive si possano immaginare per i successivi decenni del presente secolo.

Certamente, se nel 2020, non tutti i paesi occidentali (Italia) hanno saputo recuperare le perdite di PIL conseguite nel 2009 in seguito alla crisi subprime, le prospettive future tra fallimenti e rilanci socio-politici quanto economici sono veramente ardue. Ci aspettano decenni difficili? Si. Tutto ciò nonostante il nuovo secolo americano.

In questa crisi di prospettive ci sono anche gli Stati Uniti, considerati il faro dell’Occidente (lo erano e tali sono) oggi quanto più che mai al bivio tra vecchie scelte e nuove. Le vecchie strade sono quelle legate alla Cina comunista attraverso la globalizzazione e le nuove vertono in una riabilitazione della capacità industriale occidentale e statunitense, opponendo dazi all’importazione selvaggia specificatamente asiatica.

 

C’era una volta la globalizzazione

Il titolo di questo paragrafo appare a prima vista come un epitaffio d’apporre sulla tomba di qualcosa che è stato e non ci sarà più; è vero.

Per cercare di capire meglio e di più si è aperta un’intensa ricerca sulle origini, cause e sviluppo dell’evento globalizzato, che ha monopolizzato i primi vent’anni del XXI secolo. Detto in forma più diretta, gli anni 2000 sono quelli della globalizzazione. Non è pertanto possibile meditare sul periodo, senza porre al centro l’evento globalizzato che trova nella politica di Richard Nixon una sua precisa progettualità.

Spiegato più direttamente, la globalizzazione risponde a un progetto applicato con successo dall’allora Segretario di Stato, Henry Kissinger e dal suo presidente Richard Nixon. Come ampiamente descritto nel testo “Cina” di H. Kissinger, la diplomazia del ping pong, sviluppatasi dall’aprile del 1971 in poi, coronò una lunga ricerca voluta dalla Presidenza americana per aprire un dialogo con la Cina fino ad allora perseguita attraverso le trattative per la pacificazione del Vietnam avute a Varsavia e vari canali diplomatici specialmente pakistani[1]. Gli incontri sportivi permisero informalmente il contratto tra il Segretario di Stato americano e un alto rappresentante del Partito comunista in nome di Mao. L’alto funzionario fu Zhou Enlai[2]. L’incontro americano avvenne “dirottando” un viaggio diplomatico programmato per il Pakistan fingendo un malessere per il segretario di stato. L’incontro avvenne nel pomeriggio del 9 luglio 1971. Preparando la successiva visita di Stato tra Nixon e Mao che avvenne a febbraio del 1972 il discorso americano fu molto diretto. La Cina, paese essenzialmente agricolo, negli anni Cinquanta aveva già sofferto 20 milioni di morti per fame[3]. Kissinger sostanzialmente chiese al governo comunista se volesse proseguire a soffrire la fame o essere avviato all’industrializzazione grazie a capitali e tecnologia americana. Mao accettò. Da quel momento affluirono in Cina capitali e imprese americane tali e tante da produrre beni e manufatti per il mercato statunitense. Il costo del lavoro cinese, allora pari a 2 $/ora (oggi salito a 5 $/ora) permise di sostenere il sogno consumistico americano a bassi costi di produzione e prezzi di vendita. Come rileva il prof. Carlini, sociologo ed economista[4] i bassi costi d’acquisto delle merci certamente resero felice lo shopping ma tolsero posti di lavoro alle maestranze americane tramite il fenomeno della delocalizzazione e conseguente disoccupazione.

Il trasferimento di una buona parte dell’apparato produttivo statunitense in Cina se risolse la felicità della spesa per gli americani, certamente aggravò la qualità di vita dei ceti medio-bassi introducendo lo spettro della disoccupazione di lungo periodo nel sogno americano. Una considerazione così profonda non poteva che pervenire da un sociologo mentre gli economisti rimasero e sono tuttora fermi al solo conteggio dei prezzi di vendita dei beni sul mercato.

Lo studio dell’evento globalizzato oltre il solo perimetro microeconomico, permette di comprendere la reazione dell’elettorato occidentale e americano alla globalizzazione. Questa manifestazione d’insofferenza si concretizzò nel 2016 partendo dalla vittoria della Brexit in Gran Bretagna (è meglio essere britannici che europei) e dall’avvio della Presidenza Donald Trump tuttora in sviluppo.

Il presidente Trump ha saputo rivedere le “devianze” del processo globalizzato attraverso due passaggi fondamentali: reshoring[5] e dazi.

Il reshoring rappresenta una procedura di ri-accoglimento in patria delle imprese già delocalizzate grazie a incentivi fiscali e abbuoni nelle spese di apertura di nuovi stabilimenti produttivi. Fu pensata nella seconda presidenza Obama[6] immaginando di perdere alle elezioni del 2016 come puntualmente avvenne.

Trump non solo ha dato corpo e anima al progetto reshoring ma anche applicato i dazi rivoluzionando la teoria economica limitata al “surplus del consumatore”[7].

Con la concreta applicazione del dazio all’import, l’amministrazione Trump ha spiegato alla microeconomia che il surplus del consumatore è un indicatore valido di benessere se ci si interroga sulle connesse fonti di ricchezza. Nel caso il consumatore dovesse spendere sussidi di disoccupazione il suo surplus è malessere anziché benessere! Ecco che il minor import dalla Cina si traduce in maggiore produzione nazionale con un numero di occupati maggiore rispetto al passato e quindi un più elevato livello della ricchezza nazionale (PIL).

Un concetto di questo spessore e livello era inimmaginabile con le ben due amministrazioni Obama e con il partito democratico che proprio con Clinton apri a dismisura i confini commerciali firmando il trattato NAFTA.

Questa analisi degli anni 2000-2020 si è molto concentrata sull’evento centrale quale rappresentato dalla globalizzazione e sua annessa crisi.

La globalizzazione significa delocalizzazione quindi disoccupazione, povertà e mancate promesse di benessere per l’Occidente. Lo stesso evento è stato mascherato come fatto culturale quando in realtà nasce esclusivamente in ambito economico e tale resta sviluppandosi sul piano commerciale.

Oggi globalizzazione vuol dire standardizzazione dei consumi e contrazione degli annessi costi di produzione. Per consumi massificati, tra le 9 culture che si dividono il pianeta Terra (e spesso in conflitto tra di loro) il riferimento corre al cellulare e al computer. Tolti i prodotti d’informatica, alla globalizzazione resta molto poco.

La letteratura politica ha cercato in ogni modo di dare alla globalizzazione parole-concetto come solidarietà, accoglienza per l’immigrazione, ecologia e rispetto per la natura, economia ciclica e verde, si tratta di una serie di aspetti che cercano nel mondo consumistico globale una casa comune. Tutti aspetti profondamente in crisi d’identità in seguito alla perdurante pandemia da polmonite cinese.

L’analisi del ventennio americano però non può concludersi sulla sola globalizzazione quando c’è un altro grande argomento da esaminare: la crisi subprime[8].

I dettagli della crisi sono ben spiegati dal prof. Carlini nel suo studio citato nella bibliografia, in questa analisi invece è interessante cosa ha portato nella nostra vita quell’esperienza da cui l’Italia, tra l’altro non è ancora riuscita a recuperare il gap di PIL di allora. Restando all’esperienza americana, la Fed (banca centrale americana) introdusse il Quantitative easing come sistema di produzione di ricchezza monetaria sganciato rispetto al PIL. Mi spiego. Nella mentalità classica (fino al 1929) a tanta ricchezza prodotta (PIL) corrispondeva tanta moneta stampata e circolante.

Durante la guerra (1941-1945) questo parallelismo non fu ovviamente rispettato e neppure durante il conflitto vietnamita (1968-1975). Per la prima volta nella storia l’ipotetico parallelismo tra PIL e moneta venne dichiaratamente sorpassato dalla FED in occasione della crisi subprime attraverso la semplice stampa di carta moneta da introdurre sul mercato.

L’ordine di grandezza di un QE mensile è solitamente di 80 mld/$ al mese.

Oggi il QE rappresenta il principale sistema di sostegno della BCE (la banca centrale della UE) alle economie fallite o a rischio di fallimento tra cui l’Italia nell’estate 2020.

Infine il ventennio americano del XXI secolo coglie un terzo e ultimo passaggio importante: il terrorismo.

Il terrorismo che colpisce l’America del Nord (gli Stati Uniti) è principalmente un atto che rientra nella guerra di civiltà cogliendo in ciò gli studi di Samuel P. Huntington descritti nel famoso testo “Lo scontro delle civiltà”.

In un ordine di 10 a 1, per spiegarsi meglio rispetto al terrorismo straniero e specificatamente islamico, si aggiunge, da diversi anni, anche uno nostrano, squisitamente americano, molto confuso, capace di sbandare tra questioni razziali e un macerato indipendentismo locale, rispetto al Governo nazionale.

Per quanto il terrorismo locale abbia certamente colpito la serenità della Nazione (vanno ricordati i fatti drammatici accaduti a Oklahoma city del 19 aprile 1995 con 168 morti e 672 feriti[9]) va rammentato come resti a tutt’oggi (luglio 2020) un fatto di polizia interna/FBI (Federal Bureau of Investigation) non in grado di mobilitare la Guardia Nazionale e l’esercito. Al contrario il terrorismo, specie di matrice islamica non solo impegna la polizia locale e l’FBI ma anche la CIA (Central Intelligence Agency), l’esercito e la politica estera in operazioni di svariata misura.

La globalizzazione, per come è ancora nota nel periodo novembre 2001-luglio 2020, è nata grazie all’ingresso (voluto dagli Usa) della Cina nel WTO e dall’interazione del paese asiatico con il resto del mondo. L’operazione d’internazionalizzazione della Cina sul piano commerciale, fu voluta dall’amministrazione statunitense, per ricevere in cambio basi d’appoggio alla lotta al terrorismo sapendo d’attaccare l’area afgano-pakistana soggetta al controllo o forte influenza talebana.

Ecco come il terrorismo, sia interno sia esterno, ha modificato la vita quotidiana degli americani e nel mondo e favorito un processo, quello globalizzato oggetto di forti critiche e di successivi ridimensionamenti.

Il cambio di vita imposto dal terrorismo, specie negli Usa riguarda ad esempio i voli aerei. Prima del 2001 (data dell’attacco alle Torri gemelle) prendere un aereo in una tratta interna agli Stati Uniti era assimilabile alla corriera di linea su una tratta nota e monotonamente costante. Oggi per prendere un aereo serve recarsi in aeroporto praticamente 2 ore prima. L’allungamento dei tempi d’imbarco, dovuto ai controlli di polizia, oltre a un costo oggettivo hanno anche prodotto “un’industria” della sicurezza prima completamente sconosciuta e superflua!

Costi che esportati su altri paesi (in particolare in Occidente) hanno permesso il rientro della spesa di progettazione e sviluppo prototipi che resta comunque gravosa, specie se trasferita, come sta accendendo in questi ultimi mesi sul versante informatico. La Cina, la Corea del Nord e la Russia, stanno sperimentando nel periodo 2019-2020 in forme sempre più assidue tecniche di guerra informatica. Oltre a ciò c’è il ladro che si esercita sui server delle grandi aziende di vendita prodotti on line nel rubare i codici delle carte d’accesso.

Crimine & terrorismo pare si siano ampiamente trasferiti dal mondo reale a quello virtuale provocando non meno danni sul piano economico e della connessa creazione di un’industria della difesa attiva anche in virtuale.

Anche nella lotta tra civiltà sia questa condotta nel reale come da remoto, gli Stati Uniti d’America si confermano come lo scudo principale alla difesa della cultura e valori Occidentali. Un esempio tra molti.

Ci sono 9 culture nel mondo[10], l’unica, che avendo vissuto il dramma delle due guerre mondiali nel XX secolo, considera la parità di genere è quella Occidentale. Nessun’altra cultura, e sono ben 8, considera la donna come in Occidente. Tale radicale differenza comporta una visione della religione, della politica, economia e società che sono diverse. Tra le 9 culture del pianeta Terra, la più ricca, in termini di ricchezza monetaria non culturale, è quella Occidentale, probabilmente anche grazie all’iperconsumo che tramite lo shopping, il genere femminile scatena giorno per giorno. Certamente l’eccesso di consumo e la parità di genere sono dei valori non vissuti e riconosciuti dalle altre 8 culture, ma importanti per l’Occidente che trova negli Stati Uniti un attore formidabile della storia del XIX e XX secolo. Grazie America!

 

Conclusioni

Prima della crisi pandemica da virus cinese i quotidiani si sono sperticati nel “prevedere” il sorpasso cinese sugli Stati Uniti d’America. Oggi di fronte a una popolazione cinese che mangia pipistrelli, cani e serpenti, perennemente soggetta a infezioni letali alla sopravvivenza, l’idea della Cina è profondamente decaduta e con essa l’idea stessa di globalizzazione.

C’è un nesso di continuità che lega la globalizzazione all’entrata della Cina nel WTO (novembre 2001) e quindi alla crisi della prima come della seconda.

Da questa crisi gli Stati Uniti, con la Presidenza Trump, si distaccano rilanciando la produzione nazionale come fonte di ricchezza per la popolazione. Saranno questi i motivi che porteranno alla rielezione del presidente repubblicano a novembre 2020? E’ molto probabile.

Sul piano delle questioni razziali, argomento particolarmente sentito nell’estate del 2020, si precisa come la problematica è sempre esistita negli Stati Uniti gravando su una parte della popolazione (l’11%), quella di colore, che ancora non ha saputo esprimere tante idee, cultura, creatività e ricchezza da conquistarsi un ruolo nella società. Certamente non può essere “colpa dei bianchi” se i neri dalla fine della guerra civile (1865) ancora non si sono saputi integrare nella comunità contando ben 170 anni. Ne consegue che il problema razziale non è un problema, ma una costante con i suoi alti e bassi; in un certo senso quest’aspetto è parte integrante del sogno e miracolo americano, a cui il mondo guarda con rispetto e desiderio d’emulazione.

Infine sulla lotta al crimine e al terrorismo gli Usa rappresentano sia la “prima linea” che le retrovie studiano le soluzioni per applicarle.

Il resto dell’Occidente non è ancora riuscito ad organizzare un sistema universitario e di ricerca scientifica che possa collaborare/competere con quello americano a cui sono affidate le sorti dell’avanzamento della civiltà. Certamente l’Occidente sa esprimere molto, ma restando sempre orfano se non in compagnia del punto di vista nordamericano. Ecco perché abbiamo bisogno che il nuovo secolo americano c’indichi le nuove rotte da seguire.

 

Bibliografia:

 

[1] Pagina 37 della tesi di laurea magistrale citata nella bibliografia: Henry Kissinger e la Cina

[2] Pagina 46 della tesi di laurea magistrale citata nella bibliografia: Henry Kissinger e la Cina

[3] Pagina 169 del testo Cina, H. Kissinger

[4] Articolo citato nella bibliografia; La crisi della globalizzazione del prof. G. Carlini

[5] Articolo citato nella bibliografia; Reshoring soluzione alla crisi.

[6] Articolo citato nella bibliografia; Reshoring e la presidenza Obama

[7] Articolo citato nella bibliografia: Elogio del monopolio e dazi

[8] Articolo citato nella bibliografia: subprime, analisi della crisi.

[9] Un terrorista locale fece saltare in aria un palazzo nel centro di Oklahoma city nell’omonimo stato. L’edificio raccoglieva tutti gli uffici federali colpendo in questo modo contemporaneamente tutte la autorità. Si tratta della vicenda di terrorismo interno più cruenta e sanguinosa dell’intera storia americana.

[10] Pagina 22 del testo di Huntington

 

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