Home SOCIOLOGIAParkinson Il Morbo di Parkinson in Italia – ricerca sociale. Prof Carlini

Il Morbo di Parkinson in Italia – ricerca sociale. Prof Carlini

by Giovanni Carlini
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QUESTA VERSIONE DEL TESTO E’ STATA APPOSITAMENTE MODIFICATA PER CONSENTIRE UNA MIGLIORE LETTURA ALLA COMUNITA’ DEL PARKINSON

Il morbo di Parkinson

 prigioniero da parkinson

Analisi di una malattia degenerativa, parzialmente correggibile, introducendo il concetto nuovo e inedito di “prigioniero da Parkinson” forte dell’esperienza maturata nella cura dei prigionieri americani provenienti dai campi di prigionia nel Vietnam.

Allo stato attuale non ci sono ancora riferimenti scritti, documenti e basi per realizzare una ricerca sociale sul Morbo di Parkinson. La malattia si scagliona su cinque fasce ed è in grado di coinvolgere 30-35-40 anni di vita della persona.

Il costo annuo di gestione di un malato di Parkinson è intorno ai 75.000 euro assorbito in gran parte dalla famiglia, mentre il tumore impegna mediamente  per 39.000 euro/anno. Oggi non si ha un’idea chiara di quanti siano i malati di Parkinson in Italia (forse l’8 x 1000?), dove si trovino, come suddividerli nelle 5 fasce di progresso della malattia, quali livelli d’assistenza abbiano nei 21 contesti sanitari nazionali e quanto costino.

Non solo, serve l’istituzione di una comunità del Parkinson che sappia aggregare famiglie e persone nella morsa di una malattia sociale, che vale una vita intera. Per affrontare la ricerca sociale sul Parkinson, non si possono applicare i normali criteri di ricerca sociologica limitati alla formazione di un campione scientificamente valido. Questo perché il solo campione, preoccupato di massificare realtà diverse in una tabella di casi, è incurante del dolore profondo di un malato ridotto a prigioniero di una vita che non gli appartiene più. Nasce qui il concetto inedito di prigioniero da Parkinson individuando uno spirito sano in un corpo malato, concetto mai introdotto nella scienza ma che ora inaugura l’ingresso della sociologia su questo tema.

E’ necessario che le associazioni di riferimento facciano proprie le indagini sociali su questa sofferenza, anziché affidarle a enti di ricerca, università e altri, solitamente troppo professionali nella gestione del problema senza porsi al servizio del dramma che necessita qui studiare. In pratica il “Libro Bianco” sul Parkinson dev’essere una conseguenza di una mobilitazione sociale, per creare la comunità di riferimento, anziché lo scopo della ricerca. Si scrive “Libro”, ma in realtà si pronuncia “comunità”, unico antidoto alla gestione di una malattia che imprigiona all’ergastolo.

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