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Il distretto industriale: Usa ed Italia, metodiche diverse

by Giovanni Carlini
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Il distretto industriale non è un concetto solo italiano. Anche gli americani hanno i loro distretti collaudati dal 1860. Dal nostro corrispondente negli Stati Uniti – Giovanni Carlini

Il distretto industriale, inteso quale insieme di relazioni tra aziende fortemente radicate in un territorio, non è un concetto italiano. Nel nostro paese questa prospettiva è servita per aprire una “terza via” tra la grande azienda capitalistica e quella artigianale. Tuttavia, la modalità operativa principale, piccole aziende che lavorano per una/due “medio-grandi”, fu premiante negli anni Settanta; oggi è un limite. Il distretto italiano è proteso verso l’interno. Negli USA il distretto industriale  funge da trampolino per la conquista dei mercati. Sintetizzando il distretto industriale italiano è rivolto verso l’intero e quello statunitense all’esterno. 

Il distretto industriale: la grande differenza 
Innovazione, ricerca & sviluppo, con metodiche di gestione aziendale sostenute da una forte base informatica per gli USA. In Italia forte valenza politica al co-governo tra periferia e centro. Sono queste le sostanziali differenze tra i due modelli comportamentali di “fare distretto”.
In Italia il distretto industriale è una fortezza. Negli USA un trampolino di lancio.

Per gli italiani il distretto è considerato una fortezza perché tantissime aziende, lavorano alacremente per poche. Nell’esperienza statunitense la tendenza è invertita. L’azienda, anche piccola, si pone sul mercato interno come esterno dal distretto. La sinergia del comprensorio è una molla in più per collocasi meglio su tutti i mercati. In questo senso si è espresso recentemente il Presidente dei giovani imprenditori dell’Unione Industriali della provincia di Napoli. Antimo Caputo afferma una verità. “..dovremmo far riferimento al modello USA usandolo come spunto riguardante la ricchezza prodotta e non in termini ideologici”.

Chiarite le grandi differenze tra scuola americana e quella italiana, necessita descrivere che cosa si intende per distretto industriale. Questo non per raccontare storia economica, ma capirne la crisi in epoca globalizzata. Assodato che ci sono ovunque grandi difficoltà di sopravvivenza per il “sistema distretti”, si prospettano soluzioni diverse. Per gestire la crisi e rilanciare il sistema, negli USA si applica la ricerca & sviluppo. Quindi introduzione dell’informatica nella gestione aziendale, ad esempio. In Italia si preferisce lanciare una politica di concertazione tra periferia e centro. Sistemi diversi.

I distretti industriali USA
In tutto il paese ce ne sono 12 come macro aree e quasi 150 effettivi. In Italia sono 105. Il distretto americano esprime prima di tutto una macro area di rilevamento ai fini statistici nazionali. Dal piano nazionale si giunge a quello di singolo Stato. Ogni Stato censisce i suoi distretti. L’individualismo è importante, infatti nel distretto industriale americano emerge l’impresa individuale più che il conglomerato.

I casi da manuale sono come in italia i poli informatico ed aeronautico. L’enfasi americana però stimola la singola azienda a battersi sul mercato globale. A questo punto, il “distretto nord americano” funge da palestra per aziende. Praticamente il distretto USA funziona perfettamente al contrario di quello italiano.

Una definizione di distretto industriale valida per tutti i paesi
Si definiscono distretti industriali le aree territoriali locali. Caratterizzate da elevata concentrazione di piccole imprese. In particolare sono importanti nel distretto le relazioni con la comunità locale. Alfred Marshall, nel tardo 800, utilizzando per la prima volta l’espressione industrial districts, precisò di riferirsi ad una entità socioeconomica. Tale unità sociale era intesa come costituita da un insieme di aziende, facenti generalmente parte di uno stesso settore produttivo. Non solo ma anche localizzate in un’area circoscritta. La collaborazione fu considerata importante ma anche la concorrenza.
Oggi la crisi del distretto è dovuta alla competitività dei settori “maturi”. Questo sono facilmente aggredibili dai Paesi emergenti a forte vocazione manifatturiera.

I distretti industriali hanno un futuro?
Sono molte le questioni aperte da affrontare per rispondere. Il modello distrettuale è ancora compatibile con i mutamenti in corso nell’economia mondiale? In secondo luogo, bisogna isolare le criticità ed i punti di forza per comprendere come intervenire. Su questa strada ogni paese, che adotta il modello “distretto” non ne ha messo in discussione la validità teorica. La riflessione è come uscire dalla crisi.

Come si resta sul mercato evitando di scomparire?
Per avere convenienza a produrre e restare sul mercato, un’impresa deve ottenere un vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti. Può farlo collocandosi in una fascia di basso prezzo per raggiungere grandi volumi di produzione. Oppure agendo su una forte differenziazione in grado d’esaudire particolari esigenze di consumo. Infine puntando su alta innovazione di prodotti ottenibile con al ricerca scientifica.
Le possibilità sono molte e variamente combinabili. L’esperienza dei distretti è stata studiata da Marshall e da altri, quali Giacomo Becattini e Arnaldo Bagnasco. Tutte le ricerche si collocano in una dimensione di forte concentrazione d’impianti di piccole dimensioni in un unico territorio. In questo modo di produrre i costi di transazione sono ridotti.
La circolazione della conoscenza è un elemento decisivo: molto del sapere tradizionale viene trattenuto e tramandato. I settori produttivi, maggiormente interessati, sono quelli considerati “tradizionali” come la moda, la meccanica strumentale, l’arredamento.

La crisi e le sue motivazioni in Italia come all’estero e negli USA
Non dipende solo dalla globalizzazione la crisi del distretto industriale in Italia come negli Usa.
Le ragioni del declino sono a partire dalla metà degli anni Novanta. Esattamente da  quando i beni di consumo tradizionali hanno richiesto d’essere personalizzati.

Un rilancio?
Certamente va considerato il livello del capitale umano su cui poggia il concetto stesso di produttività. Va ricordato come, quest’ultimo parametro, non dipenda solo da com’è strutturato il posto di lavoro. Al contrario coglie il modo di vivere nella società i suoi stili comportamentali e di litigiosità.
Una nazione come quella statunitense, decisamente più solidale e compatta delle europee, gode di una produttività economica maggiore.
A questo proposito c’è una nuova prospettiva. Inserire, nel bilancio delle società, un valore che sintetizzi quanto vale il fattore umano. In pratica misurarne la produttività.
Nel solco della formazione continua si spiega la maggiore produttività statunitense.

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