Allerta! il credito d’imposta alla ricerca è tornato
di Giovanni Carlini
È un’esperienza già nota a diversi imprenditori che ne hanno beneficiato con successo; ritorna il credito d’imposta. Nel 2011, per un biennio, la percentuale di rimborso delle spese per ricerca & sviluppo fu al 90%, ora, con il provvedimento in corso d’approvazione dall’attuale governo, dovrebbe essere al 50%.
Che cosa vuol dire? Il concetto è semplice: le imprese, così come sono, non riescono a reggere al futuro. Pensano poco, non studiano per nulla, la ricerca è pari a zero, non leggono per ottenere idee, al massimo forse sfogliano il quotidiano e sono trincerate dietro il mito della pratica senza pensiero creativo. Ovvero lavoro, lavoro, lavoro senza idee innovative. In queste condizioni le imprese chiudono (oltre 10mila nel solo 2013).
La prospettiva per gestire il futuro si chiama ricerca. In termini pratici significa smettere di commerciare cercando una soluzione in un prodotto proprio, ma vuol dire internazionalizzarsi, oppure ridefinire gli assetti proprietari pensando ad un contratto di rete.
In pratica, significa darsi da fare!
Il precedente credito d’imposta alla ricerca obbligava le imprese a transitare attraverso un apposito Consorzio di ricerca, capace di connettere le necessità dell’azienda al mondo universitario. Non è noto se la stessa procedura sarà in vigore anche nella nuova legge. Di fatto però questo tramite ha comportato dei costi al progetto superiori nella ragione 20%, che rappresenta l’aggio del Consorzio di Ricerca. In alcuni casi questo è stato del 25 e 30%!
Va anche riconosciuto che le singole imprese molto raramente sanno rivolgersi agli Enti di Ricerca commissionando studi specifici, oppure con estrema difficoltà svolgono ricerca in proprio. A causa di questa farraginosità sono stati inventati, “di sana pianta”, i Consorzi che cercano ancora adesso un loro spazio. Passando alla fase operativa descrivendo come funziona un progetto di ricerca è necessario:
a) che l’azienda (in genere di produzione, ma potrebbe anche essere di natura commerciale – dipende da come viene impostata la legge) senta la necessità d’allargare una gamma di produzione o di un bene per renderlo più adeguato ai mercati globalizzati, quindi innovativo, oppure che necessiti di meno energia per essere prodotto, magari maggiormente polifunzionale, che consenta il recupero dell’energia o che se ne voglia studiare la possibilità d’introduzione sui mercati internazionali. Spesso si studia qualcosa che sia specifico per alcune fasce di consumatori. È il caso di quell’azienda di sedute interessata a rivolgersi alla quarta età con nuove poltrone accessoriate per cui è necessaria, tra le tante cose, una scocca da progettare interamente con formule innovative.
b) Definito un progetto, è importante quantificare i costi e il valore del personale interno che si potrebbe dedicare alla ricerca. Giunti al preventivo, bisogna rivolgersi (se confermato anche nella nuova legge) a un Consorzio di ricerca che gestisca l’intero progetto, fornendo a sua volta personale tecnico appositamente assunto per l’azienda.
c) Lanciato il progetto unendo forze interne e pervenute tramite il Consorzio, ogni 3 mesi è necessario rendicontare la spesa con appositi rapporti e si procede dall’esercizio successivo (se confermato anche in questa legge) al recupero di un terzo della spesa come tasse versate in meno (appunto credito d’imposta). Su un progetto di 100, il credito d’imposta che era del 90% nel periodo 2011/2012 oggi è al 50%. Il recupero fiscale non si applica all’IVA.
Un’iniziativa di questo tipo è lodevole perché spinge le imprese a uscire dalla disperazione di questi anni, «portandole a fare innovando e cercando nuovi mercati». Buon lavoro.