Il commercio internazionale è veramente indispensabile per lo sviluppo di una Nazione? Il dubbio emerge dalla certezza granitica di una serie d’operatori e studiosi che in forma del tutto acritica sposano una prospettiva. Quando la massa diventa priva di dubbio è necessario accendere il lume della ragione e del dubbio.
Possibile che un aspetto sul quale gli studiosi dibattano da 300 anni abbia per dogma una soluzione così certa e assoluta?
Ovviamente la certezza priva di ripensamenti è solo degli stolti. Chi non ha dubbi è pericoloso!
Il commercio internazionale è saggio SE:
- il paese è piccolo e non grande, quindi non ha da difendere quasi nulla di se stesso, ma solo offrire qualche prodotto altamente specialistico. Si pensi ai papaveri dell’Olanda, al Parmigiano Reggiano italiano, al formaggio francese e così via. L’aver maturato un bene di nicchia ad altissimo contenuto specialistico, taglia fuori la concorrenza e favorisce l’internazionalizzazione.
Lo stesso commercio internazionale NON E’ AFFATTO UNA BUONA IDEA QUANDO:
- la Nazione è grande con produzioni sia di nicchia sia generaliste (quest’ultime esposte al rischio di concorrenza crudele);
- ci sono dei differenziali ampi.assurdi.non giustificati nei costi dei fattori. Ad esempio la Cina comunista paga un’ora di lavoro 5 dollari mentre l’Italia 26 euro e la Germania 32. In queste condizioni d’ampio divario, il commercio internazionale può esistere SOLO IN PRESENZA DI DAZI CORRETTIVI (qui il pensiero corre al Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump).
La conclusione che emerge da queste considerazioni è che il commercio con l’estero NON è affatto una condizione ASSOLUTA di ricchezza. Per operare sui mercati internazionali serve una posizione forte:
a) un prodotto esclusivo, a buon prezzo, nazionalizzatile nel senso che è riconoscibile come made in italy e coperto da brevetto;
b) una buona copertura finanziaria ottenuta anche con le agenzie di Stato italiane;
c) la disponibilità a risiedere all’estero per lungo tempo come residente.