L’atto finale
by Giovanni Carlini
Diversi lettori mi scrivono per chiedere delle delucidazioni sui tempi e modi del colloquio di selezione, al di là dei quiz già pubblicati. Per rispondere a questa necessità è stato scritto questo articolo.
Prima del colloquio di selezione
Che un dipendente vada in pensione o si sposti presso altra azienda, non vuol dire affatto che sia necessario rimpiazzarlo! Anzi, spesso e volentieri è vero il contrario.
La tendenza più diffusa (purtroppo) è quella di svolgere le stesse mansioni o forse anche di più, con meno personale. Se questo ragionamento è noto, in realtà manca il termine di paragone su cui decidere se sostituire, mantenendo l’organico o ridurlo. Ebbene per questo esiste l’organigramma e il mansionario. Spesso le imprese guardano con superiorità e mancanza d’interesse a questi due documenti di base, perché amano le “cose pratiche”. In realtà il segreto della produttività è custodito in un ordine formale che spieghi con estrema semplicità chi fa cosa.
Detto in altri termini: quante persone servono per assicurare tutte le funzioni che l’impresa svolge e, non è finita, cosa devono fare e in quanto tempo?
Ecco definito un organigramma e un mansionario. Assicurato questo progetto, è possibile capire quant’è la forza lavoro e se sarà possibile contrarla o ampliarla, a seconda delle necessità.
Stabilita la congruità del rimpiazzo con l’organigramma e mansionario, parte la ricerca
Prima di tutto la ricerca per una nuova unità lavorativa parte sempre chiedendo ai dipendenti, loro famiglie, figli, e amici o quanti possono conoscere eventuali candidati. L’obiettivo è semplice: aumentare il prestigio che l’azienda gode (o in caso contrario se fosse invisa ai suoi dipendenti, trovare forme di comunicazione con le maestranze). Se il passa parola non ha esito, chiedere ad altri imprenditori, al fine d’allacciare dialoghi finalizzati all’analisi del mercato. Quindi passare alla parrocchia, servizi sociali e segreterie delle scuole.
La tendenza se non fosse ancora chiara, è quella d’usare prima di tutto il passa parola, che ha il pregio e vantaggio di personalizzare il contatto anziché l’anonimato di un annuncio. Il beneficio di una conoscenza in comune, aumenta la responsabilità della resa lavorativa da parte del neo-assunto. E’ in corso un forte dibattito sull’assumere connazionali o stranieri. Laddove si ricercasse stabilità negli anni da parte del neo-assunto, il fatto che sia italiano lo responsabilizza maggiormente e lo trattiene per un periodo di tempo maggiore rispetto allo straniero. Questo senza considerare i noti problemi di ferie e lunghezza del viaggio da parte degli immigrati e il valore sociale riferito a un disoccupato connazionale in meno nella società.
Se nessuna via nel passa parola ha esito nell’arco di 3-4 giorni e la via “istituzionale” attraverso la parrocchia, i servizi sociali e il collocamento in una settimana non risponde con adeguate candidature, allora si dovrà purtroppo procedere a un annuncio sulla stampa locale/nazionale a seconda dell’importanza dell’impresa che sta cercando.
Come scegliere tra i molti curriculum scritti pervenuti
Il curriculum dev’essere solo e soltanto scritto; non ne esistono di verbali. Dalla formalità e solennità della presentazione del proprio curricula, s’inizia a comprendere qualcosa della personalità del candidato. Potrebbe anche essere non elegante nel dirsi, ma la realtà è che “il giudizio” su una persona parte da quello che ha scritto di sè e da come lo ha saputo presentare.
Un curricula aderisce o a delle regole standard (europeo) per chi ha poca esperienza o è invece informale, se contiene molti aspetti da valutare per cui va studiato con maggiore attenzione, perché potrebbe essere un personaggio interessante (maggiore produttività)
Comunque sia, ogni presentazione è organizzata in una parte anagrafica, a cui seguono gli studi svolti (conoscenze teoriche) quindi le esperienze lavorative (conoscenze pratiche) per concludere i desideri e disponibilità, oltre l’autorizzazione al trattamento dei dati.
La presenza di un’immagine del volto è importante, perché consente una selezione anche attraverso l’espressività che la persona sa offrire.
Nei criteri di scelta non conviene immergersi troppo in quanto dichiarato dal candidato, ma tener sempre fede al motivo della selezione, ovvero mantenere ben chiaro in mente cosa deve svolgere la figura ricercata e quanta produttività dovrà apportare all’azienda. Laddove non si considerassero i parametri di:
a) produttività (quantità di cose fatte nello spazio di 1 ora, ad esempio)
b) eventuale teorica compatibilità con le persone con cui entrerebbe in contatto se assunto;
l’intero lavoro di selezione sarebbe compromesso.
A questo punto merita aprire una parentesi sulla produttività. Per tale s’intende l’effettiva capacità di “fare” dell’assunto, in merito alle sue mansioni. L’operario o impiegato non devono fare di più o di meno di quanto progettato a monte nell’organigramma-mansionario.
Questa capacità di “fare” va misurata e monitorata senza stressare o indurre al nervosismo il dipendente. Come si misura? Se abbiamo ben chiaro cosa l’operaio deve assicurare, da quel punto scatta la misurazione, che viene quantificata in vendibilità di quel lavoro o azione svolta. Sembra semplice definito a parole, ma in realtà è anche meno complesso di quanto apparia. Una cosa è sicuramente certa: la produttività va condivisa tra l’impresa e le maestranze, quindi misurata e confrontata anche per l’orgoglio di sapere quanto il proprio lavoro vale sul mercato. Non ci devono essere gelosie o segreti su questo aspetto, perché se al lavoratore spetta il lavoro, la sua valorizzazione e spendibilità sul mercato è un’azione esclusiva dell’impresa. Ne consegue che non ci dovrebbe essere conflitto tra le due funzioni.
La successione dei colloqui
I colloqui sono 3. Il primo serve solo per conoscersi e avere delle iniziali idee uno sull’altro. Va ricordato che non è solo l’azienda che sceglie, ma è anche il candidato a rendersi conto se quell’impresa lo sappia valorizzare. Sbagliare questo connubio, significa ottenere quote di produttività “inspiegabilmente” inferiori alla media.
Nel corso del primo colloquio, chiedendo della vita scolastica e lavorativa, si vuol capire se nel complesso il candidato potrebbe avere le caratteristiche ricercate. Un’ottima risposta da parte dell’aspirante, sarebbe citare alcuni passaggi tratti dal sito dell’impresa dove si sta svolgendo il colloquio, dimostrando un interesse ben più vasto che al solo posto di lavoro. Ovviamente anche il primo incontro è selettivo e normalmente se si sviluppa solo nell’arco di 15 minuti, significa che con cortesia si vuole chiudere il contatto. Invece un certo interesse tra le parti comporta, in genere, quasi un’ora di colloquio. Va rammentato che accede all’incontro solitamente appena un decimo delle domande pervenute.
Nel corso del secondo colloquio si entra molto più nel merito, capendo non più la sola personalità del candidato (ormai chiara dal primo incontro) ma la sua effettiva capacità nel ricoprire il ruolo, sia reale che potenziale. Ecco che nel corso del secondo colloquio si ricorrerà a test appositamente predisposti per quella posizione. Anche in questo secondo scambio d’idee la durata è nell’ordine di un’ora se c’è interesse.
Infine si giunge al terzo e ultimo incontro. Qui si discute di soldi, carriera e c’è l’incontro tra il responsabile del reparto e il candidato, alla presenza del selettore o direttore del personale, comunque di chi ha diretto i colloqui. Anche questa fase è selettiva a può tranquillamente includere la conclusione negativa del contatto. Questo vuol dire che ci possono essere più candidati contemporaneamente introdotti alla terza fase del colloquio, da cui uno o due procederanno (quanto necessita) e gli altri si fermano.
Cosa cercare in un candidato
L’essere umano in azienda rappresenta un apporto d’energia. La responsabilità nell’impiego di questa capacità ricade sull’impresa, mentre l’offerta nel farsi plasmare per rendere al meglio è a carico dell’assunto. Se questo è vero, l’ambiente di lavoro dovrebbe migliorare con l’ingresso di una nuova persona. A fronte di un contesto troppo nervoso, ad esempio, serve introdurre soggetti che dicano la loro, ma senza per questo cercare l’urto. Al contrario, per vitalizzare un contesto decisamente amorfo, servono personalità vivaci. Ecco che la selezione non scarta chi sarebbe a priori valido, ma ricerca quelle capacità che necessitano in quel contesto specifico.
Solo la Pubblica Amministrazione recluta in base al riconoscimento di attitudini di base (skills) senza alcuna analisi del contesto dove quel personaggio andrà introdotto e questo senza criticare quel modello, ma analizzandone le modalità operative. Infatti nella PA c’è la mobilità del personale, (trasferimenti di sede) per cui molti modi d’essere nel carattere, cambieranno nel tempo e si confronteranno, anche geograficamente, con situazioni diverse da cui ne deriva una forma di produttività.
Perfettamente il contrario in un’impresa, dove il mondo “è quello”, al netto d’eventuali divisioni operative, reparti e funzioni nazionali come estere, nei casi di più grandi dimensioni. Si conferma così l’importanza della capacità d’apporto d’umore del personaggio neo assunto. Non serve sottolineare che ambiti lavorativi molto nervosi, conflittuali, litigiosi e stressanti, sono poco produttivi.
Con queste premesse chi deve svolgere fisicamente la selezione?
Se in questo studio è stata recepita l’importanza della produttività è bene che l’impresa, per le prime assunzioni, si rivolga a dei consulenti esterni, i quali operino affiancandosi al personale interno per spiegare come agire, cosa chiedere e procedere. Partendo dal presupposto che tutto s’impara (se persone mature) già alla terza selezione si potrà procedere in autonomia dalla consulenza, ma con metodi e punti di vista sempre differenziati e aderenti alla specifica ricerca.
Conclusione
Con questi appunti si vorrebbe spostare l’attenzione delle imprese, dalla mera sostituzione di chi non è più in azienda, alla ricerca di una produttività continua, che ci avvicini a modelli economici e industriali più “aggressivi”, senza stressare le maestranze. Qui si mette “il dito nella piaga”. Il lavoro, nella sua dignità (rispettato in occidente e sfruttato in oriente) va considerato non in “quanto costa”, ma in cosa offre all’impresa. Mediamente il costo industriale (quanto di competenza delle maestranze più la parte di competenza del datore di lavoro, che ammonta circa all’84% delle spettanze) va moltiplicato per almeno 6-7 anche 8 volte per ottenere una produttività in linea con le tendenze in Italia. Certo un bar raggiunge anche le 12 volte il costo industriale di un’apprendista in termini di produttività e la PA non sfonda il valore di 4-5 a seconda del dicastero di competenza. Questo è un nuovo punto di vista, già noto a tutti, ma poco utilizzato.
Buon lavoro.