I giorni in cui si spense la luce sul mondo: la dichiarazione di guerra dell’Austria alla Serbia, 28 luglio 1914
Per quanto triste possa essere l’argomento e il momento che si sta studiando, il mese di luglio del 1914, il comportamento umano assume forme tragico-comiche nell’imminenza di grandi eventi non capiti ma celebrati. In realtà la festa e l’entusiasmo che fu vissuto in quei primi giorni prima della tragedia, celebrano una novità assoluta nella storia: la partecipazione cosciente delle masse alla storia. Per la prima volta nella storia dell’umanità il singolo, unito ad altri, sui quali aveva già rappresentato l’idea stessa d’opinione pubblica, è attore della sua guerra e della sua storia e indossa la sua divisa facendosi desiderare dalla sua donna; si tratta d’appropriarsi della propria vita nella coscienza d’aver conquistato un potere nuovo: la personalità.
Grazie alla personalità l’uomo e poco dopo le donne, avranno il diritto di affermare questa frase: secondo me…. E’ il “secondo il mio punto di vista” che cambia il mondo passando da quello classico, rinascimentale, liberale e infine moderno. La modernità impone la personalità quindi la presenza in ogni atto o gesta della vita.
Del resto l’uso/abuso d’internet, ai giorni d’oggi, globalizzati e delocalizzati, non serve per consentire a ognuno di “dire la propria” su ogni fatto che accede nel mondo, come delle comari in discussione sedute sulla sedia fuori dall’uscio casalingo?
Certamente il rischio di guerra e in particolare per quella che sarebbe stata la Prima guerra mondiale come possibilità e rischio, era conosciuto a tutti da anni, non solo, ma importanti strati della popolazione e di numerosi governi, tutti auspicavano alla guerra per diversi motivi. Di fronte alla concretizzazione reale di quanto temuto, sperato e pensato, si hanno degli atteggiamenti di una varietà tale, e non tutti uguali, che assomigliano più al panico, all’incredulità alla paura e all’entusiasmo. Ecco il nuovo sentimento che unisce: la paura e l’entusiasmo. Una paura e una felicità che non dividerà ma unirà le persone, secondo i nuovo dettami della nuova “moda” sociale, proiettata nella richiesta di far massa e gruppo appropriandosi della Nazione e della nazionalità. Tutti parteciperanno compresi gli analfabeti che verranno “arruolati” nella vita nazionale. Paura ed entusiasmo, estremi tra loro non apparentemente comprensibili, invadono l’Europa.
L’Inghilterra e la crisi irlandese
Il 23 luglio 1914 l’Austria presentò l’ultimatum alla Serbia. Il 25 luglio la risposta serba fu giudicata inaccettabile da Vienna. In quei giorni, tra il 21 e il 24 luglio, Re Giorgio V e il suo primo ministro Asquith, (in piena cotta d’amore per miss Venetia Stanley, quindi distratto nel suo ufficio) affrontarono a Buckingham Palace il nodo irlandese senza riuscire a scioglierlo in quanto i protestati dell’Ulster s’imputarono con forza contro l’idea dell’indipendenza dell’Irlanda, portando l’Inghilterra sull’orlo della guerra civile.
Gli scioperi e i dubbi russi, con le manie di vittimismo francesi
In quei giorni di luglio, oltre alla visita del leader francese Poincaré allo Zar, in tutta la Russia si scatenarono degli importanti scioperi, rincarando la pressione sociale sul Governo, già iniziata all’inizio del 1914. La preoccupazione del Governo francese era sempre la stessa: mantenere la Russia legata agli accordi e assicurarsi che avrebbe attaccato la Germania da est, alleggerendo così la pressione sul fronte occidentale. In più, era importante per i francesi che si attendesse l’attacco tedesco, prima di reagire, ai fini della futura responsabilità politica e anche perché gli inglesi non sarebbero scesi in campo se la Francia non fosse stata vittima dell’attacco tedesco.
Questa mania di vittimismo francese, derivava dalla brutta esperienza che la Nazione visse nel post sconfitta a Sedan del 1870, quando si trovò completamente isolata in Europa, per effetto della politica di Bismarck.
Inoltre le preoccupazioni francesi sulla Russia, erano altresì giustificate, non tanto da aspetti “umorali” quando dalla presenza nella corte dello Zar, di un forte partito d’opinione a favore della Germania. Nicola II° si trovò quindi sia “ago della bilancia” che conteso tra accordi già stipulati e convenienze politiche in sviluppo. Gli accordi erano con la Francia ma la logica avrebbe portato naturalmente la Russia a collaborare con la Germania, se quest’ultima avesse avuto una classe dirigente adeguata e lungimirante.
Trucchi e sgambetti
In questo contesto, alla ricerca del ruolo di vittima, s’intrecciò anche un diffuso sentimento di paura. Fu la paura a consigliare il governo francese a non fermare la Russia nella degenerazione dei rapporti con l’Austria a causa della nuova crisi balcanica. Non solo ma anche la Germania non trattenne l’Austria contro la Serbia nel timore di perdere l’unico alleato importante.
Mentre l’Italia e l’Inghilterra proporranno una conferenza internazionale o che le armate austriache giungano a Belgrado per aprire subito un negoziato, gli altri paesi, alleati tra loro, restarono paralizzati rispetto a quello che avrebbero potuto fare e che avevano già assorbito nel passato con successo disinnescando un gran numero di crisi.
Leader modesti rispetto agli impegni
La povertà professionale dei leader del periodo è aspetto che è stato analizzato diverse volte in questo libro, però merita d’essere rammentato anche alla luce di quanto accade, oggi, nel mondo Occidentale dal 2000: carenza di leadership e idee a partire dal Vaticano per concludere con la Casa Bianca. Lanciata la globalizzazione (benessere) e applicata la delocalizzazione (malessere per l’Occidente) non si è più saputo correggere una deriva che ha prodotto altissime quote di disoccupazione, ponendo in discussione la stessa democrazia come forma di governo nel mondo evoluto. E’ vero che gli americani hanno risposto con procedure di reshoring, rilanciando il manifatturiero, ma questa prassi non è stata capita e applicata nel resto dell’Occidente confermando comunque un errore strutturale nel concetto stesso di globalizzazione cui si è sommata anche l’adozione della moneta unica nell’area Ue.
Tornando agli anni antecedenti il primo conflitto mondiale, in Russia sia lo Zar che il ministro degli esteri Sazonov erano sicuramente dei panslavisiti accesi, ma privi della capacità necessaria per capire e gestire i problemi che ne conseguirono. In pratica come giocare con un fiammifero acceso vicino alla benzina. In un’epoca di scoperta dell’idea nazionale e del nazionalismo, i vertici russi non cercarono d’indirizzare i nuovi entusiasmi alla convivenza ma li infuocarono, estremizzandoli, attraverso una nuova forma di nazionalità sovranazionale per unire tutti i popoli slavi sotto la dinastia dei Romanov. Inoltre, tutte quelle figure che avrebbero potuto spingere alla tolleranza e comprensione erano orami “fuori gioco”. Il pensiero corre al santone Rasputin, che tanta influenza ebbe sulla regina a corte a Mosca, sicuramente ostile alla guerra, ormai in un letto d’ospedale pugnalato da una squilibrata. Quindi il pensiero corre al più autorevole e prestigioso arciduca Francesco Ferdinando, ideatore del terzo polo slavo nel contesto dell’impero austriaco, vittima nel noto attentato di Sarajevo. Non solo, in Francia il politico Caillaux, unico a credere nella moderazione verso la Germania, ormai fuori gioco causa un processo alla moglie (poi assolta) per aver ucciso un direttore di giornale che voleva pubblicare lettere di sesso e amore scritte verso l’attuale marito mentre allora era ancora sposata con un altro. Fatti della vita. Si tratta di tre personaggi chiave e capaci, non più in grado d’offrire punti di vista innovativi. Restarono figure minori e limitate. In Austria il guerrafondaio Gen. Conrad e il modesto ministro agli esteri Berchtold, quando l’influente Tisza, dall’Ungheria, aveva già capitolato difronte alla guerra come unica soluzione per ridurre le spesa per l’esercito.
Su tutto questo va anche considerato il ruolo dell’ambasciatore francese in Russia intento nel considerarsi un battitore libero, anziché fedele funzionario di Stato. Nella sua azione diplomatica ci mise “del suo” per aizzare la Russia contro l’Austria spingendo alla guerra. Si conferma ancora una volta come la scontro militare globale e totale, oltre che a un bisogno di rinnovamento sociale, fosse utile alle carriere personali. Il riferimento è all’ambasciatore Paléologue.
Il concerto europeo
Il Concerto ha saputo garantire, come noto, un secolo di pace solo perché ha coordinato tutte le case regnanti e Nazioni allo stesso tempo. La spaccatura che l’Europa ha subito nella costituzione delle singole Triplice (sia Intesa sia Alleanza) interessando ben 6 nazioni in due blocchi contrapposti, ha aperto la vita al confronto militare. E’ possibile estrarre e imparare da questo fatto storico che solo un’organizzazione come l’ONU è in grado di supervisionare la pace nel mondo?
L’Inghilterra e la Russia
Nel confronto con la Germania, tentando un accordo sulla competizione navale, gli inglesi non confidarono ai tedeschi i loro problemi con i russi. Il problema cui era giunta la cosiddetta competizione navale, era la sua artificiosità: come dichiarò al parlamento britannico il ministro agli esteri Grey, la costruzione di nuove navi avveniva solo in risposta ai tedeschi, senza alcuna reale necessità strategica da soddisfare nella gestione dell’Impero e le colonie.
Specificatamente verso la Russia, in quei mesi del 1914 gli inglesi erano tornati a “guardarsi in cagnesco” sia in Mesopotamia nelle aree petrolifere sia in l’India per alcuni intrighi russi in Afghanistan. Tutto ciò stava per porre in seria discussione il rinnovo della Convenzione anglo-russa del 1907 in prossima scadenza nel 1915. Anche gli inglesi, come i francesi, temevano che i russi potessero cambiare fronte e trovare una via d’accordo con tedeschi scombinando tutta la diplomazia degli ultimi 30 anni.
La dichiarazione di guerra alla Serbia del 28 luglio
Il punto di analisi non sono le diverse proposte fatte per consentire che l’attacco austriaco si sfogasse contro Belgrado, per addivenire a un successivo stop e una conferenza internazionale tutta ancora da convocare, ma il “tira e molla” tra la Francia e l’Inghilterra: dare corpo all’Entente cordiale collaborando sul piano militare o no?
Su questo tema il Governo britannico all’inizio fu chiaro: nessun accordo con la Francia avrebbe previsto l’automatico ingresso in guerra, tranne nel caso in cui la Francia non fosse vittima di un attacco tedesco. Intorno al concetto di “vittima”, come già accennato, ruotò l’intero asse della politica francese. Ovviamente i tedeschi “ci misero del loro” invadendo il Belgio nel transito verso la Francia.
La somma di questi due eventi, l’attacco e l’invasione di stati neutrali, provocò l’ingresso inglese in guerra. Concettualmente, a quell’epoca, oltre la flotta, l’esercito britannico non fu fonte di particolari preoccupazioni tedesche, anche se avrebbero apprezzato non doversi confrontare sia con i soldatini di cioccolato (200mila belgi in armi) sia i Tommy (inglesi) per mantenere il ritmo della tabella di marcia nell’esecuzione del piano Schlieffen.
L’Italia e la dichiarazione di guerra austriaca alla Serbia
Il ministro degli esteri italiano di quegli anni fu il Signor San Giuliano. Nei giorni precedenti la dichiarazione di guerra austriaca alla Serbia, ricevette una proposta tedesca di compensazione territori, tra le prossime conquiste nei Balcani e le terre a lingua italiana ancora sotto dominazione austriaca. Concettualmente poteva anche trovarsi un accordo che avrebbe sicuramente escluso l’ingresso in guerra dell’Italia contro l’Austria, ma dopo le accuse austriache del 2 agosto 1914 nei termini di “conigli inaffidabili”, il governo italiano declinò ogni proposta confermando la neutralità il 3 agosto 1914.
Entusiasmo per la dichiarazione di guerra
Una delle tesi principali di questo libro è come la guerra non sia stata un accidente accaduto per caso nella storia dell’Occidente moderno, ma che tale evento, la cui drammaticità non fu inizialmente percepita dalle masse in festa, rispondesse a un preciso bisogno di modernità.
Si chiarisce ora un punto fondamentale: il senso di distruzione si accompagna al concetto stesso di moderno. Si è moderni nella misura in cui si è capaci di distruggere. E’ un’affermazione così grave e assolutamente controsenso, che potrebbe anche corrispondere alla realtà.
Nell’era precedente al moderno, il primo riferimento è per l’era classica, la tensione fu sia costruire sia distruggere. L’Impero Romano, ad esempio, fu attaccato e smembrato ma per edificare a sua volta altre realtà culturali e politiche nazionali, in luogo di quelle imperiali. Passando i secoli e con la definizione di moderno, si assiste a una sua prima confusa quanto sconclusionata descrizione, grazie a Nietzsche, percependo il concetto di nichilismo. E’ nichilista chi non ascolta ma afferma, che strilla e non ragiona, che attacca senza essere stato disturbato o che reagisce con sproposito. E’ nichilista chi vive da solo nel proprio mondo benché sposato e genitore. Il nichilismo è ancor oggi pura conflittualità sociale in una personalità tesa, nervosa, sospettosa, acida, metallica. Il passaggio successivo al nichilismo è la voglia/bisogno di distruzione, consumo, spreco, sadismo e altro.
Questi concetti che spiegano anche come nel mondo occidentale la mortalità nelle relazioni affettive giunga al 42% in Italia e al 45% negli Stati Uniti, si percepirono ma non capirono negli anni antecedenti la prima guerra mondiale, appunto tra il 1910 e il 1914.
Ecco perché lo studio di quel periodo in termini sociologici, è così importante, a 100 anni (un secolo) dai suoi accadimenti spiegando come sia evoluta la nostra storia personale, passando da una vita di comunità a un’altra sociale con tutti i suoi pro e contro. La vita comunitaria fu quella rurale o di paese, dove tutti sapevano tutto. La vita sociale, invece, si concretizzò nella dimensione urbana, silenziosa nel rumore del moderno, fatta di un silenzio gridato dalla folla che circonda, ma non capisce, non scalda e raramente è amica. Meglio il silenzio urlato dalla folla anonima, che impone solitudine o l’invadenza inconcludente delle comari di paese, nel paralizzare inutilmente ogni idea diversa dalla massa conosciuta?
Sicuramente alla dichiarazione di guerra a Vienna quel 28 luglio 1914 tutti scesero in piazza per cantare inni patriottici e salutare, con deferenza, ogni divisa che incontravano, in un clima di festa ed entusiasmo. In Russia ci furono processioni all’inno “Salva il tuo popolo o Signore” applaudendo con calore lo Zar Nicola II nella convinzione che, dopo la disfatta del 1905 con i giapponesi, a quel punto sarebbe stato possibile combattere con onore e successo. Acriticamente una parte della nobiltà russa nutrì un’esagerata ammirazione per i serbi, tifando per la morte con onore sui campi di battaglia nella speranza che dell’Impero Austroungarico non restassero “che brandelli”. Gli italiani non parlarono, zitti di paura, ma i tedeschi festeggiarono e brindarono alla nuova era conciliando progresso e distruzione, solitudine e socialità. In Francia il 29 luglio, data successiva alla dichiarazione di guerra, nel rientro in patria del primo ministro Poincaré dal viaggio in Russia, venne accolto come un trionfatore. Vive la France! A Berlino! Vive le President! Sono quelle esortazioni che, entrando nella sensibilità di Poncaré, lo convinceranno dell’opportunità d’accettare la guerra come soluzione, a patto che la responsabilità ricada sui tedeschi. “Mai ho provato emozioni così travolgenti” scriverà lo statista francese nelle sue memorie, ricordando il bagno di folla festosa per l’idea di guerra. Quale lucidità mentale potrà aver avuto Poincaré nelle sue decisioni?