Una formidabile critica alla moneta Ue. Il vero guasto derivante dall’euro è la diseducazione alla spesa. Concetti espressi dal prof Carlini
Una formidabile critica alla moneta della Ue. Nel più acceso dibattito politico, sociale ed economico sviluppato in questi mesi si discute se l’entrata nell’euro fu un’operazione corretta per il nostro Paese.
Francamente già nel 1999 ci fu chi contestò questa scelta, ma non fu degnato di alcun ascolto. Il ragionamento di allora, fu che la moneta in un’economia è assimilabile al sistema sanguigno di un organismo umano. Per vivere, una persona ha bisogno di una certa pressione arteriosa che necessariamente è diversa da un essere all’altro.
Ecco che pretendere come la pressione del sangue di un tedesco debba essere la stessa per un greco o spagnolo, dimostra tutto l’errore di fondo che soggiace alla moneta unica. Se questo esempio non fosse chiaro, potremmo anche osservare come il numero medio degli addetti di una impresa italiana sia di 3,8 contro quella tedesca di 32 eppure entrambe le imprese producono, pagano e incassano nella stessa moneta.
Anche questo aspetto fu sollevato, ma si azzittì la critica facendo il paragone con gli USA, dove stati poveri convivono con altri ricchi, ma ci si dimenticò d’aggiungere che gli Stati Uniti hanno un solo reale governo per la Nazione, quando da noi sono 27 stati con 27 governi e 27 parlamenti.
Non è una differenza da poco se anche le lingue diventano quasi 20. Insomma l’euro è stato un errore. Fin qui non si scrive nulla di nuovo.
Una formidabile critica all’euro che non è stato mai appurato è come la moneta abbia portato in errore gli italiani nella loro voglia di spendere e vivere.
Mi spiego.
L’economia italiana ha la sua produttività misurabile con una certa velocità (il PIL) che è diverso da quello francese o spagnolo, eppure utilizzando la stessa moneta, gli italiani sono stati indotti a spendere e pretendere come un tedesco, pur producendo da italiano.
In questo modo il Paese ha vissuto gli ultimi 10 anni, sotto “uno scudo” che lo ha illuso di poter godere di una qualità di vita, quando questa non è stata maturata.
Un errore di questo tipo è stato fatto in Grecia e i risultati si sono visti ed è lo stesso sbaglio che affligge il nostro Paese.
E’ vero che l’Italia non è la Grecia ma quasi e la differenza lo fa il sistema delle PMI presente in questo paese, a differenza della penisola ellenica, sprovvista di un apparato industriale e manifatturiero, ma va anche considerato come “allegramente” gli italiani abbiano delocalizzato, “importando” quote di disoccupazione da cui il collasso del mercato interno.
Anche i tedeschi hanno delocalizzato, ma il loro mercato interno non ha collassato come il nostro. Da queste brevi considerazioni emerge come l’euro abbia provocato più danni alla società di quanto abbia stabilizzato in termini finanziari la nazione.
Come vada a finire la vicenda dell’euro è veramente poco importante; fallisca o meno, a noi restano i guai di un errore di rifrazione che si corregge solo con un nuovo modello educativo.
Si conferma quanto la crisi non sia economica o finanziaria ma sociale e quindi i tempi lunghi per ritrovare un nuovo equilibrio (si pensa al 2015) tra produzione e possibilità di spesa. Auguriamoci buona fortuna, perché ne avremo bisogno imparando nuovamente a vivere.