Economia dell’incertezza: il futuro della globalizzazione
L’incertezza che emerge dal mondo del lavoro in era globalizzata ha toccato i sentimenti delle persone. Questo è pesantemente accaduto in Occidente. Molto meno, o forse per nulla nelle altre 8 culture del mondo. In tutto le culture sul pianeta Terra sono 9. Le conseguenze sociali dell’incertezza da globalizzazione sono, ad esempio, l’amarsi di meno. Un segnale di questa tendenza è nel numero dei divorzi e degli abbandoni nelle coppie. I primi al 42% in Europa e al 45% negli Usa. I secondi, stimati al 60% in Occidente, il riferimento è alle coppie non coniugate. Questo è lo stato di fatto.
Nessuno ha saputo prevedere le conseguenze sociali dell’economia globalizzata. Ecco la critica fatta al Ciampi, in Italia e a chi ha progettato, sviluppato la globalizzazione (gli economisti americani).
Oggi, in finale 2016, l’incertezza ha finalmente colpito la stessa economia globalizzata. Con la Brexit e la concreta possibilità d’elezione di Donald Trump alla Presidenza negli Usa qualcosa cambia. Precisamente cambia l’arroganza e la certezza che la globalizzazione sia l’unica via percorribile. Non è mai stato vero che la globalizzazione sia necessaria e obbligata. Si è tratto di un’esperienza che ora volge al termine. Oppure se non finita è destinata a trasformarsi.
Il vero problema non è capire se la globalizzazione sia finita o in evoluzione. Il punto sono i nuovi scenari.
Ad esempio con il Presidente Trump l’export negli Usa cambierà. Del resto anche in Gran Bretagna qualcosa sta accadendo. Gli inglesi sono molto attenti a un diverso regime fiscale rispetto la Ue. Gli americani invece puntano alla “nazionalizzazione” delle merci importate. Questo vuol dire che per esportare negli Usa servirà un corrispondente locale che lavori il semilavorato e non più la merce. Stiamo parlando di un mondo diverso che impiega più manodopera e costerà di più. Giusto o sbagliato che sia è la disoccupazione il nuovo fronte sociale da affrontare. Un aspetto trascurato in Europa dove mediamente ci sono troppi disoccupati (24% in Spagna, 12 in Italia ma 40% la giovanile e 50% in Spagna). Ecco un altro motivo di riforma sia della Ue che della globalizzazione.
Nessuno osa dirlo ma questo progetto globalizzante ha mancato i suoi obiettivi.
Non è finita. Come si affrontano i prossimi mesi d’incertezza? Qui viene il bello.
Non emerge ancora una classe imprenditoriale adatta. Nelle PMI ci sono ancora “padroni o gente a cultura incompleta”. Manca il vero manager e capitano d’industria! Oserei dire che non si trova ancora quell’intellettuale imprenditore in grado di guardare al futuro. Mi riferisco a quel personaggio che si circonda di uno Stato Maggiore di manager per capire di più, fare di più, leggere di più, essere di più. Al contrario, come mi guardo intorno, trovo gente onesta, elevata all’imprenditoria, ma analfabeta. Forse geniali però immaturi. La Confindustria italiana non ha programmi adeguati per far evolvere questo esercito d’ignoranti. Di fatto le imprese non sono “presidiate”. Mancano ingegneri in produzione. Non ci sono manager in azienda e quelli in servizio invecchiano senza creare nuovo pensiero. Chi è oggi dirigente non sente il bisogno di leggere e studiare per avere idee. Si tratta di persone che lavorano (molto) ma pensano poco. Senza contare quei “manager” che sono parenti dell’imprenditore; un disastro!
Sto parlando di un esercito senza quadri. Mancano gli ufficiali (imprenditori) e i sottufficiali (manager). Come vincere la guerra senza strategia con accomodamenti continui sulla difensiva? Certo che la globalizzazione ha fallito, manca l’imprenditore globalizzato! Ora si tratta di gestire la crisi. Però mancano ancora quelle menti preparate. Ci sono soluzioni? Forse aprire alla consulenza ruotando velocemente i professionisti. Chissà. Manca certamente la cultura d’impresa.