Disoccupati! Quando questo “titolo” te lo ritrovi cucito sulla pelle
Disoccupati e svogliati. Che dolore scrivere queste cose. Un’azienda di Milano (in realtà posta a 75 metri fuori dal limite comunale della città) cerca 2 persone. Si tratta di un’amministrativa e di una segretaria. 2 donne senza limiti d’età. Dai corsi per disoccupati arriva una segnalazione per una Signora. Il colloquio va bene, ma non si sente adeguata al ruolo. Fortunatamente la stessa signora si attiva e chiama altre 50 sue amiche. Tutte queste sono collocabili nell’area amministrativa-contabile-segretaria. Tutte rispondono che 8 ore sono troppe. La localizzazione dell’azienda non è centrale per la città. Etc..etc..etc..
Serve una riflessione.
Come fanno 50 persone, tutte in stato di bisogno a negarsi? L’ingresso in azienda è per assunzione. Nessun lavoro nero. Eppure non si trovano persone. Alla fine una signora, per sport e voglia di fare qualcosa, si è impegnata solo e soltanto per gestire il momento di crisi. In pratica si offre come soluzione ponte, in attesa di trovare una persona stabile.
Mamma mia che fatica! Però un’esperienza di questo tipo necessita di una riflessione sociale a tutto campo. Che cosa sta accadendo?
Ci possono essere diverse chiavi di lettura. La prima, la più gentile vede l’assenza di lavoro come una malattia sociale. Questa patologia ottenebra la mente delle persone in stato di bisogno. Ne deriva una sorta di blocco mentale alla reazione. Ci sarebbe anche un’altra interpretazione molto dura, ma realistica. Vuoi vedere che siamo un presenza di una società viziata e rilassata? Vuol dire che abbiamo tutti perso il mordente per vivere intensamente. Sicuramente la gente, nella massa, lavora ma non pensa più. Facciamo, ma non leggiamo. Viviamo, ma amiamo poco (vedi 43% di divorzi nelle coppie sposate). Potrebbe essere che questo modo di vivere è sbagliato dove abbiamo, anche, ad esempio, manager troppo giovani e immaturi.
Forse dovremmo ripensare la nostra esistenza personale e sociale. Qualcosa non quadra.