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Dichiarazione di Schuman. Analisi critica. Prof Carlini

by Giovanni Carlini
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Dichiarazione di Schuman, sua credibilità e rappresentatività alla luce degli interventi dei ricercatori Dinan (2010) e Hansen & Jonsson (2014)

La rilettura della Dichiarazione di Robert Schuman del 9 maggio 1950 quando aprì alla collaborazione in Europa nella gestione in comune delle materie prime fondamentali (il carbone in particolare) risulta completamente ridimensionata e quasi ribaltata dalla testimonianza riportata nel testo di Hansen & Jonsson.

In particolare, le fonti esaminate per questo studio sono due: la prima di Desmon Dinan del tutto celebrativa, storica, priva di uno spessore d’approfondimento, mentre la seconda conserva un potere devastante rispetto alla normale considerazione comune degli atti costitutivi della Comunità europea.

Laddove Dinan celebra “l’audacia” di Schuman sottolineando la regia Jean Monnet senza la quale nulla sarebbe accaduto, è il libro di Hansen che spiega come quest’ultimo sia l’africanista del governo francese unitamente al Ministro della giustizia, René Mayer. Per africanisti s’intendono dei personaggi che pur europei guardano con grande interesse (e fascino) all’Africa.

Un sentimento non solo francese o figlio del suo passato coloniale, ma che ha profondamente coinvolto anche la Germania e il mondo tedesco. Infatti, ad esempio, lo scrittore austriaco Anton Emmerich Zischka von Trochnov[1], in diversi sui libri in particolare, Africa. Primo compito unitario dell’Europa, pubblicato nel 1953 quale commento alla dichiarazione Schuman. A questi s’aggiunse anche un politico tedesco vicino ad Adenauer, Gustav-Adolf Gedat quando nel 1954 scrisse un influente trattato dal titolo, “Il futuro dell’Europa sta in Africa”. Coronò il tutto lo scrittore francese Pierre Nord con l’affermazione: “è in Africa che la riconciliazione franco-tedesca pone le basi prime per la costruzione dell’Europa[2].

La chiave di rilettura della dichiarazione Schuman alla luce delle implicazioni africane s’arricchisce di nuovi quanto inediti dettagli quando Hansen & Jonsson descrivono l’acuto contenzioso italo-francese che ha condotto quasi al fallimento dell’intero progetto. Nel dettaglio l’Italia ha chiesto, nel quadro della dichiarazione e precisamente in forza dell’articolo 79 (unico articolo dell’intero documento che apre ad altri paesi limitrofi e quindi al continente africano) un libero accesso dei lavoratori italiani presso gli stabilimenti siderurgici francesi in luogo e al posto della manovalanza algerina e marocchina indubbiamente favorita dalla Francia. Non solo, ma la stessa Italia ha chiesto e non ottenuto che l’accordo non si limitasse solo ai giacimenti franco-tedeschi ma che s’aprisse anche a quelli detenuti in Africa dalla stessa Francia, in particolare nel Gabon e in Mauritania.

L’Italia non ha saputo tenere fermo il punto, quindi, ha ceduto permettendo alla Dichiarazione Schuman di confermarsi ma la rottura era a un passo dall’essere consumata.

Una lettura dei fatti con questa prospettiva consente di comprendere meglio le affermazioni di Dinan quando traccia un attendo profilo di Jean Monnet, l’architetto dell’intero piano che porta il nome del Ministro degli esteri francese dell’epoca, Schuman.

Il Generale Charles de Gaulle, al governo in quegli anni, resosi conto che l’economia francese sarebbe inesorabilmente precipitata come entità e produzione di ricchezza, ponendo in aperta difficoltà la stabilità della Nazione, chiese a Jean Monnet di cercare una strategia che invertisse la tendenza.

Monnet, né influenze di destra e neppure di sinistra, adottò il sistema della pianificazione economica che già aveva dato i suoi frutti in quegli anni in Unione Sovietica. Nell’ambito del rilancio dell’economia francese maturò l’idea dell’accordo per la messa in comune delle materie prime europee (e non quelle africane sotto controllo francese).

Ecco il punto di contatto tra i due autori che sono ampiamente comprensibili solo se studiati contemporaneamente.

Sempre nel testo di Dinan, si fa ampio riferimento allo scontro avvenuto tra unionisti e federalisti in ambito di progettazione della Comunità europea. E’ interessante approfondire questo passaggio.

Wiston Churchill, nel suo discorso all’università di Zurigo del 1946, invitò gli europei a voltar pagina rispetto al passato volgendosi al futuro in una prospettiva d’aperta collaborazione tra Nazioni; il pensiero dello statista britannico fu squisitamente unionista. Lo scontro che ci fu a maggio del 1948 all’Aja tra ferventi europeisti vide però prevalere la linea già tratteggiata dall’italiano Altiero Spinelli, ovvero quella costituzionale tanto che si procedette costruendo delle autorità sovrannazionali quali oggi sono ancora presenti in questa forma di Comunità da cui gli inglesi si sono sempre ritratti ed in aperta contestazione nelle elezioni di giugno 2024.

Bibliografia

  • Desmond Dinan (2010); Title: Ever Closer Union, An introduciotn to European Integration, Algrave
  • Hansen & Jonsson (2014); Title: Eurafrica, The Untold History of European Integration and Colonialism, Bloomsbur[1] Anton Zischka, 1904-1997 è stato un giornalista e scrittore austriaco di grande successo nel XX° secolo scrivendo anche sotto diversi pseudonimi ha pubblicato molti testi, tra cui La guerra segreta per il petrolio (1936) quindi Africa. Primo compito unitario dell’Europa (1953)

    [2] Pierre Nord, 1900-1985, partigiano e spia il cui vero nome fu André Léon Brouillard. L’affermazione è del 1955 contenuta nel libro Arthème Fayard a pagina 12, pubblicato a Parigi.

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