Critica alla transizione digitale vuole sollevare un aspetto che NESSUNO vuole considerare, ovvero il passaggio da una democrazia, che include il privato, ad una versione socialista di Stato dove tutto è noto e pubblico.
Io, figlio del concetto di democrazia già definito tale da Alexis de Tocqueville (1805-1859) e seguenti, fino a quella italiana del 1948 frutto di un ibrido catto-comunista, non voglio rinunciare alla dimensione privata.
E’ molto curioso osservare delle generazioni particolarmente gelose della loro individualità, che operano in totale messa in comune del loro privato: in pratica opposti che si toccano. Ad esempio l’uso della moneta elettronica esclude la riservatezza delle scelte d’acquisto perchè tutto è controllato, non ultimo il passaggio fiscale.
La moneta elettronica serve alle banche per guadagnarci su ogni passaggio e per il controllo fiscale del cittadino, ma pare che nessuno se ne sia accorto.
L’uso abuso d’internet, oltre a togliere attenzione alla lettura/studio di quotidiani e libri ( da qui emergono immaturità linguistiche del tipo, “diciamo”, “praticamente”, “infatti”, abuso di termini stranieri nel nostro linguaggio e assenza d’apostrofo tra vocali) pone in piazza i fatti propri affinchè “altri” sappiano. Altri chi? non si sa.
La contrazione dell’area privata deprime gli spazi di democrazia facendo emergere, ad esempio, una forte evasione al voto da parte del cittadino che non si riconosce in uno Stato a cui ha già dato tutto di se e della sua vita: spese, scelte, opinioni, fatti privati.
Qual’è allora la scelta più opportuna in questo transito da democrazia a dittatura?
Nella critica alla transizione virtuale è importante lasciar scegliere al cittadino la forma che preferisce di relazione con la Pubblica Amministrazione.
Vuol dire che il cittadino può contemporaneamente optare per il virtuale per discutere di tasse sull’immondizia con la municipalità e conservare l’interfaccia fisico nella sanità.
L’informatica non va imposta, ma scelta.