Perchè la GDO è in crisi
di Giovanni Carlini – sociologo, economista
La grande distribuzione in Italia è in crisi come del resto l’intero sistema Paese. Non è un fatto particolarmente originale notare che un settore sia in difficoltà quando tutti accusano delle battute d’arresto. Francamente ciò che pochi sanno dire, è che la GDO risente con effetti ritardati di quello che subisce l’industria nel suo complesso. Tutto qui. Ci sono motivi di riscatto?
I dati di fatto
Quando le tendenze vanno male, i dati sono difficili da leggere perché ogni realtà “gestisce e indirizza” il suo momento di difficoltà. Ne consegue che è saggio non avventurarsi in un ordine d’idee sul calo 2010 rispetto al 2009, perché tutti avrebbero da ridire, su informazioni ancora troppe fresche per essere considerate oggettive. Comunque tutti sappiamo che il contesto non è affatto leggero, anzi a volte e in alcuni casi assume le tinte del “grave”.
Il motivo per cui GREEN UP scrive queste righe, non è tanto per dare “notizie” al lettore come troppo spesso fa la concorrenza, ma al contrario per ragionare sulle idee. Il punto è: va male per cui è obbligatorio reagire, ma come? Per azzardare qualche strategia, bisogna conoscere la natura della crisi analizzandone l’origine: prodotto, prezzo o domanda?
In realtà la crisi deriva dal lato della domanda dei prodotti, ovvero dai consumatori, i quali hanno contratto gli acquisti. Si sta parlando di un rallentamento del mercato interno, dal quale non c’è uscita, se non nei termini macroeconomici. La GDO di fronte a un’impasse sociale, può fare veramente poco, se non agire sul prezzo (come sta facendo, ma anche esagerando) e sui prodotti (su questo passaggio ci sono delle novità, ricercando quelli minori di prezzo a parità di qualità e puntando al consorzio d’acquisto per gli approvvigionamenti in forme più audaci e meglio organizzate rispetto al passato)
I numeri della crisi
Com’è stato anticipato il punto di collasso è il mercato interno, che riduce la spesa. Per le famiglie la crisi non è affatto alle spalle, anzi! Il comparto alimentare scende in aprile dello 0,5% e dello 0,2 nel non food. Rispetto al 2009, nei primi mesi di quest’anno, le vendite sono calate nelle grandi superfici dello 0,9% e in particolare gli ipermercati -2,7% Le difficoltà sono estese anche ai supermercati con un -1,4% e i discount -0,6% Uno dei punti di maggiore preoccupazione è capire la reazione del consumatore quando inevitabilmente, l’eccezionale rincaro delle materie prime, non sarà più calmierato dagli operatori che hanno così ridotto i margini di redditività. Attualmente rincari del 70-80% non sono ancora stati tradotti in prezzi ai clienti e per alcuni grandi marchi, i margini sono allo 0,3%.
Si compra solo ciò che si capisce
A dir la verità, e qui si tocca il punto cruciale di questo relazione, il prodotto viene acquistato dai consumatori solo se è stato capito nel suo contesto di prezzo e qualità. In una sorta di autocritica, va rilevato quanto oggi la GDO usi molto poco le regole di marketing, affidandosi solo alle politiche di prezzo, ritenendole sufficienti per gestire la situazione laddove, al contrario, andrebbero aumentati momenti d’incontro con il prodotto. Il riferimento si estende alle prove fatte di fronte ai clienti nell’uso dei prodotti per esporne la potenzialità. Quindi una pubblicità “tecnica”, che esploda l’articolo dimostrandone la forza, assorbimento d’energia e attitudini.
Come Kotler (il padre del marketing moderno) conferma il marketing è l’arte di collocare il prodotto sul mercato, spiegando ai clienti perché non ne possano fare a meno. Spesso il problema è che non viene illustrato nulla, da qui un calo o disinteresse dei consumatori non educati verso quel certo bisogno.
La reazione alla crisi
Normalmente la crisi viene percepita dalla GDO dai 12 ai 18 mesi dopo l’inizio del momento recessivo, ma questo ovviamente dipende dal singolo evento macroeconomico, anche se generalmente, questo è il lasso di tempo che s’interpone. Ciò che lascia perplessi è: sapendo che queste sono le dinamiche, perché oggi allarmarsi? E soprattutto, qui “viene il bello”: cosa è stato predisposto per affrontare questo momento? Non mettiamo il dito nella piaga. Come già anticipato le risposte alla crisi, che sta vivendo il settore della grande distribuzione, possono essere:
– sul prezzo (campagne d’offerta prodotti a prezzi scontati, riducendo i margini o in alcuni casi azzerandoli, per garantire la sopravvivenza del marchio)
– sulla scelta di prodotto (offrire una gamma di beni, che non necessariamente devono essere “made in China”, per tutti i problemi di qualità e sicurezza che questo tipo di scelta lamenta, consentendo altresì al cliente di spaziare ottenendo il “surrogato” all’originale come già avviene in farmacia)
– organizzando un’accorta politica degli acquisti.
Un esempio aggressivo verso il mercato nella politica degli approvvigionamenti
Il racconto di un’esperienza vissuta: quest’anno ho comprato un navigatore satellitare, negli USA, per girare con più serenità, sia nella prateria del nord, come negli infuocati deserti del sud. La prima scelta è stata impostata sulla fiducia, rivolgendomi a un importante distributore americano di prodotti elettronici, forte di una capillare presenza in tutta la Nazione; Best Buy. Ho così comprato a 139 dollari. Sedici giorni dopo però, questa macchinetta nella sua espressione vocale italiana, (ci sono ben 27 opzioni diverse nel linguaggio) ha iniziato a perdere colpi, non pronunciando bene le vie, quindi tornando da Best Buy di un’altra città e stato, dotato di scontrino, mi lamento del prodotto e pagando la differenza, compro la versione superiore dello stesso modello. Arrivo così a quota 236 dollari.
Passa una settimana e qualcuno (il figlio adolescente) mi dice che sono stato imbrogliato, perché il prezzo pagato per la versione avanzata è da considerarsi assurdo. In effetti dopo una rapida indagine di mercato, scopro che avrei potuto avere lo stesso modello “avanzato” a 129 dollari da altro operatore commerciale. Torno da Best Buy chiedendo giustificazioni sul rapporto prezzo pagato e prodotto ottenuto, ma i commessi sono a corto d’argomenti, per cui mi restituiscono tutti i soldi spesi, senza alcuna resistenza, ovvero i 236 dollari. Con quell’ammontare mi reco da un altro grande distributore, Radio Shack e chiudo la partita a 129 ottenendo lo stesso prodotto “avanzato” in grado di parlare in italiano e senza difetti.
Ovviamente prima di giungere alla conclusione, ho schivato delle emerite fregature da Fry’s a Las Vegas (altro grande distributore d’elettrodomestici/elettronica) dove il cinese di turno, nel ruolo di commesso, voleva convincermi, per 260 dollari, sulla compatibilità europea del Tom Tom rispetto al Garmin, che ho comprato e sul quale desideravo restare quale marchio e modello.
L’indagine di mercato svolta, ha permesso di mettere a fuoco degli aspetti, nella formulazione del prezzo in America, di grande importanza e questo grazie ai consigli ottenuti dai commessi che molto professionalmente, non hanno difeso il “loro” prodotto, ma spaziato sull’intera gamma d’offerta sul mercato, a vantaggio del cliente (da qui nasce la fiducia incondizionata per questi venditori) Tali professionisti operano in negozi della catena Office Max, Office Depot e Wal Mart (altri 3 distributori molto diffusi nel Paese). Entrando nel dettaglio sulla politica dei prezzi, il sistema funziona così:
a) il più forte distributore d’America (Wal Mart) acquista, prima di tutti gli altri “le novità”, in modo d’assicurare al mercato ampia scelta. In questo modo, ovviamente, l’ultimo prodotto della serie ha un costo elevato, ma al contempo, impone una forte contrazione di prezzo sul modello che prima rappresentava la “novità” e ciò a immediato beneficio degli acquirenti;
b) in questo modo Wal Mart, attira consumatori allargando la sua base di distribuzione, perché richiama sia chi è disposto a spendere per un prodotto appena uscito, che anche coloro che “stavano attendendo” qualche riduzione di prezzo per risparmiare sull’acquisto, desiderando dei beni di un certo livello, ma non disposti a pagare il “primo prezzo”;
c) il meccanismo si traduce, in pratica in un nuovo prezzo di 129 o 169 dollari in luogo del precedente di 250 per lo stesso tipo di prodotto, reo d’essere “vecchio” appena di qualche mese (in genere sei, ma spesso anche quattro)
Molti imprenditori mi hanno scritto, in queste ore, per avere dei consigli su come gestire un mercato fiacco o forse gravato da un imminente secondo colpo dalla crisi internazionale. La procedura d’acquisto qui descritta vissuta come cliente, ma studiata quale ricercatore, credo vada meditata e possibilmente applicata. E’ facile concludere che quanto descritto è già in uso da noi, che non c’è nulla di nuovo sotto il sole etc.. In realtà la gestione di quello che potrebbe essere definito il mutato corso dell’economia, commercio e industria, alla luce della perdurante crisi, richiede una miriade di micro applicazioni e accorgimenti nel cui complesso (quasi fosse un puzzle) è possibile trovare la personalizzazione della risposta d’impresa ai nuovi bisogni del mercato.
Il campo del bricolage nella grande distribuzione
Tradizionalmente il reparto cosiddetto bricolage s’articola su dei settori che sono:
a) craquelé (invecchiamento artificiale di mobili e quadri)
b) la creazione manuale di oggettistica
c) la decorazione domestica
d) posa di tappezzeria
e) posa di parquet e piastrelle
f) tinteggiatura
g) l’impiantistica
h) posa e manutenzione dell’impianto elettrico, telefonico e televisivo
i) posa e manutenzione dell’impianto idraulico e dei sanitari
j) posa e manutenzione degli impianti di riscaldamento e refrigerazione
k) lavori in muratura e carpenteria
l) falegnameria
m) giardinaggio
n) bigiotteria
o) impiantistica
p) cura del proprio mezzo di trasporto
q) installazione e manutenzione di impianti Hi-Fi e Home Theater
Se questa è la tradizionale suddivisione del bricolage in Italia come all’estero, va osservato come il mercato sia spesso servito da negozi specializzati, lasciando poco spazio alla GDO, che per forza di cose non può offrire una vasta gamma di scelta, limitandosi di fatto al prezzo. Indicativamente, al netto di mille eccezioni, si potrebbe indicare il bricolage nella GDO italiana ed europea, in termini d’articolazione e organizzazione dello spazio come:
– al 40% dello spazio disponibile per giardinaggio;
– al 5% cura del mezzo di trasporto;
– al 20% per la falegnameria;
– al 20% scelta e posa di parquet;
– al 10% area tinteggiatura;
– al 5% altro.
Anche se è difficile poter indicare dei dati che siano comuni a tutti gli operatori sul mercato (è credibile una selezione già nel corso di quest’anno nel loro numero per difficoltà di fatturato) si può azzardare un confronto tra peso percentuale di spazio impiegato e resa in termini di fatturato nel corso degli ultimi 6 mesi a cavallo tra il 2010 e la primavera 2011 per cui:
– se il giardinaggio impegna il 40% dello spazio concesso al bricolage, questo offre il 60% del fatturato specifico;
– se il 5% è per la cura del mezzo di trasporto, contribuisce per il 6% del fatturato;
– se il 20% è per la falegnameria, il contributo è per il 15%;
– se il 20% è al parquet, il contributo è all’8%;
– se il 10% è per la tinteggiatura, il contributo è al 9%;
– se il 5% è per altro il contributo è al 2%
Cosa emerge da questi dati? Tutto e nulla, perché è troppo presto per avviare delle conclusioni. Il 2011 si conferma interlocutorio in un trend di costante difficoltà, dove probabilmente andranno rivisti gli spazi e le rese sulle vendite spostando alcuni settori merceologici sopravvalutati e introducendone altri ora trascurati. Il dibattito è aperto, partendo da questo spunto e coinvolgendo la redazione di Green Up.