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Convivenza. Prof Carlini studi di sociologia della famiglia

by Giovanni Carlini
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Un tema sollecitato da diversi giovani: la convivenza. Si tratta di un’idea intelligente?

Molti ragazzi e ragazze (in pari percentuale di genere, ovvero nello stesso numero tra giovani donne e uomini) mi hanno chiesto un punto di vista sulla convivenza. Si tratta di una scelta intelligente o del solito foruncolo della civiltà passeggero? Per spiegare il senso della convivenza in un ambito di coppia, conviene fare un esempio. Immaginiamo un fiume con gli argini e uno senza; qual’è quello più sicuro? Nella vita serve una disciplina senza la quale non si ottiene nulla. Per disciplina non si intente “la galera” o obblighi ma semplicemente l’impegno a seguire una via, indipendentemente dalle stagioni e momenti diversi che potrebbero invitare a cambiare le scelte fatte.

Si può vivere cambiando in continuazione? Si, è possibile, ma al prezzo di non riuscire a stabilire dei valori sui quali costruire una vita.

C’è anche un altro aspetto da considerare ragionando tra matrimonio e convivenza.

Sposarsi significa “fermare il tempo”, ovvero proseguire a guardare il proprio partner come quando lo si sposò. La vecchiaia o comunque il decorso del tempo non conta più nulla, gli occhi e il desiderio si fermano all’epoca del primo incontro e alla stagione del grande e folle amore. Si tratta di un meccanismo che si avvia in un contenitore che si chiama matrimonio, ovvero in un contesto legale, affettivo, sociale, culturale che oggettivamente la convivenza non offre, non ha, non può permettersi. La convivenza esprime un arrangiamento di deresponsabilizzazione, ovvero una non scelta che esprime esattamente l’opposto di quanto chiede l’amore e le sue conseguenze (i figli).

Si possono allevare figli senza curarli (ovvero la responsabilità del genitore)? L’amore tra un uomo e una donna richiede presenza, impegno, responsabilità, coscienza e quella follia di dichiararsi “per sempre”, tutti aspetti che la convivenza è incapace d’esprimere. Ogni volta che sento solo il termini di “compagno” mi percorre un brivido sulla schiena di repulsione e ribrezzo pensando, a caratteri cubitali una parola soltanto: irresponsabili, ovvero gente da poco su cui non fare affidamento. Il concetto di compagno o di compagna è una contraddizione in termini rispetto il concetto di amore. Non c’è amore (se non una bella avventura) tra compagni. L’amore è preoccuparsi stabilmente dell’altra, esserne la sua memoria viva dichiarandogli interesse e voglia tutti i santi giorni. Il resto è un gioco. Non che non si possa e debba giocare, anzi, è bello se fatto in un periodo di tempo stabilito. Giocare per la vita è sbagliato perchè illude. La convivenza è illusione in un ambito di amore.

A questo punto una domanda: com’è possibile affidarsi a uno/una che vuole convivere? La domanda si ribalta. Come si fa ad accettare un rapporto di convivenza nel caso si stia cercando una stabilità nell’amore? Abbiamo tutti visto e criticato gli effetti dell’instabilità lavorativa (tempo determinato) nella società globalizzata, capace di produrre instabilità negli affetti (42% di divorzi e il 60% di abbandoni nella convivenza). E allora? 

In effetti pochi sanno sviluppare il confronto tra i guasti della globalizzazione nella società moderna e contemporanea, con l’instabilità nelle coppie e il dolore che hanno creato a loro stesse e alle giovani generazioni. Possibile che sia così difficile riuscire a collegare i diversi argomenti tra loro? La crisi della società moderna, specie in era globalizzata è una crisi di convivenza e superficialità da de-responsabilizzazione su tutti i piani umani e professionali. Serve ripensare le nostre vite. Ecco perchè mi viene da ridere quando alla TV sento i leader politici (come quelli italiani) che il terrorismo non deve cambiare le nostre abitudini. Ribaltando il tema e togliendo di mezzo il terrorismo, non è forse il caso d’affermare che le nostre abitudini vanno ripensate e quindi anche la convivenza posta sotto un esame critico?

Buona riflessione.

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