Concetto e applicazione pratica dell’emergenza. Cosa vuol dire essere in emergenza?
Tanto per cominciare, aprendo al ragionamento, chi riguarda lo stato d’alterazione della procedura standard? Coglie una persona, un gruppo o tutti quanti?
Quindi l’emergenza attacca 1 azienda, un comparto produttivo, una regione intera oppure si colloca a livello nazionale/internazionale?
Sono le prime domande necessarie per capire e delimitare lo spazio dell’anomalia che si viene a creare che noi chiamiamo “emergenza”.
Molto spesso accade che quella che chiamiamo “emergenza” in realtà è una mancata previsione dell’anomalia.
Mi spiego.
La pandemia da polmonite cinese, di cui qualche cenno c’è stato a novembre 2019 si è conclamata a febbraio 2020. Questa è un’emergenza perchè non la si poteva prevedere.
La crisi dei debiti immobiliari americani, detta “subprime” in atto dal 2006 ed esplosa nel 2008 negli Usa (settembre) e quindi in Europa in primavera 2009 non è stata un’emergenza, ma un evento che non è stato capito e previsto.
Si tratta di 2 fatti, ugualmente traumatici, ma mentre il primo non prevedibile il secondo fu un semplice e smarcato errore di valutazione.
Ecco che il perimetro dell’emergenza si definisce meglio in:
- un evento non prevedibile;
- una modifica al comportamento codificato. Una prassi che deve includere in se l’anomalia come fatto “previsto”.
Spesso accade che le aziende sono poco organizzate (difettano in piano di marketing, organigramma, mansionario e carichi di lavoro) confondendo l’emergenza con una loro carenza organizzativa che va colmata.
Perchè c’interessa l’emergenza? Per la sua ricaduta in termini di costo sulla gestione d’impresa. Un’azienda che lavora “in emergenza” costa tanto, troppo, un valore tale che la ucciderà (vuol dire che fallirà). In questi casi l’emergenza va prevista in termini di tempo rispondendo alla domanda: per quanto tempo possiamo resistere fronteggiando l’emergenza? Ma se è tutta un’emergenza, qualcosa non quadra!