Chiamateci per un nuovo modo di lavorare
Chiamateci! Proseguono le interviste a imprenditori e manager del settore siderurgico italiano per reagire a una congiuntura difficile, soprattutto dopo lo schiaffo che tutti noi abbiamo subito dal caso Ilva. Vale la pena opporsi e battersi o è meglio chiudere? È forse vero che ci troviamo dalla parte sbagliata del mondo come produttori e commercianti d’acciaio? A queste domande sono invitati a rispondere tutti, ma al prezzo di un’idea, ovvero offrire un punto di vista, anche discutibile, che ci dia una testimonianza nel prendere una decisione se lottare o chiudere l’attività.
Risponde il Presidente del C.d.A. di Eur-Acciai spa, Andrea Ricchiuti.
Che cosa sta accadendo? Chiamateci!
«È in atto una gara ad eliminazione: si tende a rincorrere volumi che attualmente non ci sono e molto probabilmente non ci saranno più, perché trasferiti in altre aree geografiche e questo vuol dire che “siamo dalla parte sbagliata del mondo”. Mi spiace affermarlo (a me più di chiunque altro) però devo ammettere la realtà. Ci sarebbe però una scappatoia, che qui spesso leggo sulle pagine di SIDERWEB e nell’angolo di Carlini in particolare. Se l’Italia e l’Europa prendesse sul serio il programma UE per una re-industrializzazione, tanto da puntare entro il 2020 a un 20% di manifatturiero (ogni 100 merci vendute, almeno 20 fatte da noi) allora noi, operatori dell’acciaio, avremmo una speranza. In questo caso il punto si sposta e la domanda diviene: come facciamo a tenere duro per altri 7 anni?»
Perché siamo giunti a questo stadio?
«È innegabile la totale assenza di politiche industriali nel nostro Paese rivolte a trattenere
aziende che non trovano più conveniente fare impresa in Italia, senza affrontare i temi di fondo, quale una elasticità nell’impiego del personale e credito alle imprese. Una situazione di questo tipo, dove si auspicano dei risultati senza strutturare la base sociale e politica, sommata alla crisi mondiale che dura ormai da quattro anni, vede i numerosi operatori del nostro comparto lavorare ai limiti della marginalità. È brutto da dirsi ma siamo in troppi!»
Cosa fare?
«Noi ci siamo mossi. Da circa un anno abbiamo trasferito la nostra sede ad Usmate Velate (MB) dove è stato allestito un centro servizi tecnologico avanzato che comprende due linee di spianatura altrettante bandellatrici e uno slitter. Questa mossa è stata da noi realizzata con la volontà d’essere sempre più vicini alle esigenze dell’utilizzatore finale, trasformandoci in centro servizi. Purtroppo però, anche se lo sforzo da parte nostra c’è stato ci troviamo con un potenziale di 10.000 ton/mese utilizzato solo a metà causa crisi! (consumi ridotti, investimenti sostanzialmente azzerati, liquidità scarsa, condizioni di disagio per i lavoratori con una generalizzata occupazione precaria). Andando più nel dettaglio, il settore, secondo me, evidenza un numero di operatori tale da creare una concorrenza spietata, capace solo di comprime fortemente i margini operativi, ormai ridotti a frazioni dopo la virgola se non già negativi.
Visto che i consumi sono attualmente ridotti, per i prossimi mesi e comunque per il futuro, sarebbe desiderabile una strategia del profitto e non dei volumi, coordinata dalla nostra Associazione di categoria.
Concludo che la soluzione auspicabile, secondo me, è quella dell’aggregazione tra imprese o di formule come il contratto in rete, coordinando imprese che resterebbero comunque con la loro individualità, ma collocate in un contesto sinergico. Se questo non dovesse avvenire rischiamo d’essere spazzati via da una lotta fratricida. Utilizzando questa stessa intervista e rivolgendomi ai lettori, chi ci conosce o anche desidera farlo, è disponibile ad aprire una trattativa con noi per coordinare una presenza sul mercato più aggressiva».