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All 30 marzo 2009 il rapporto metalli studiato dal prof Carlini

by Giovanni Carlini
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Aggiornamento al 30 Marzo 2009

Rapporto Metalli
Aggiornamento al 30 marzo 2009 di Giovanni Carlini

Fonti:
– Quotazioni Ufficiali London Metal Exchange – indici LME, COMEX e NYMEX.,
– Quotidiano: Il Sole 24Ore e suo sito “Metalli 24 materie prime”
– Associazioni: Assofermet e Camera di Commercio di Milano
– Siti Web dedicati: SteelOrbis, DJ Acciaio Report e Siderweb.com

CONSIDERAZIONI A CARATTERE GENERALE E PROIEZIONI FUTURE
Peggio di così non può andare quindi deve migliorare per forza di cose il quadro generale!
Da contatti molto frequenti con i lettori di questa rubrica, grazie ai quali è possibile scrivere le riflessioni qui offerte e studiare i tanti input che il mercato delle notizie offre, emerge di fatto un’idea di fondo: “ peggio di così non può andare, quindi da adesso tutto non potrà che migliorare”. Attenzione che questo atteggiamento è profondamente errato. Lo è nella misura in cui l’odierna crisi (che non è solo economica ma anche sociale, quindi ha una doppia valenza) può durare degli anni. Non va mai dimenticata la storia economica. Nell’800, ad esempio, in assenza di chiare quanto decise iniziative per risolvere le più fasi di depressione, si è assistito non solo al loro peggiorare in carestie, fame ed epidemie, ma anche a guerre; tutti fenomeni che sono perdurati per decenni. Il vero problema, conoscendo gli ultimi 200 anni, è che abbiamo avuto sempre crisi provocate dal lato dell’offerta, ma quasi mai da quello della domanda. Paul Krugman (premio nobel per l’economia) chiama questo fenomeno, oggi in pieno sviluppo, “economia della depressione”. In un quadro di questo tipo non abbiamo ancora sufficienti esperienze, studi e punti di vista per “scrivere” le soluzioni. Ecco perché, sapendo questi particolari, pensare che “peggio di così non possa andare per cui è atteso un rimbalzo”, appare troppo semplicistico, ma anche pericoloso crederci. C’è gente in giro che rilascia interviste su questo tema, parlando dei metalli ferrosi come dell’acciaio, ma si tratta degli stessi personaggi che qualche mese fa hanno dichiarato, senza mezzi termini: non avevamo capito, non abbiamo saputo prevedere. Ebbene qui si sottolinea un altro problema: il ricambio dei vertici che non hanno avuto la capacità, benché fossero stati pagati per questo, di saper interpretare i molti segnali pervenuti, preparandosi per tempo.
Quelli che annunciano che la crisi è al giro di boa, sono gli stessi che 10 mesi fa non seppero leggere cosa stava accadendo.
Serve un ricambio nella direzione delle imprese. Non si tratta di prendere o più giovani o maturi rispetto a quelli che oggi sono ancora al comando, al contrario si cercano nuove sensibilità sia verso l’impresa (che non è uno strumento da spremere per arricchirsi) che nei confronti del prodotto (saper spiegare cosa si fa, perché e con quanta/quale passione) come infine per il mercato (maggiore sensibilità al territorio di elezione rispetto alla delocalizzazione speculativa tesa a produrre a bassi costi e vendere a prezzo di mercato). Ovviamente i forti/eccezionali incrementi di fallimento, in questi mesi, contribuiscono a pulire il mercato da quelle imprese che non sanno scrollarsi di dosso una classe di imprenditori e manager che non si sa più adeguare.

Ma insomma questa crisi finisce o no?

Chiarito il concetto che le crisi possono durare anche decenni e per la precisione trenta o quarant’anni, con estrema disinvoltura, il fatto che dal 1945 questa in corso sia la prima vera difficoltà globale, obbiettivamente, alla comunità degli studiosi resta solo un nuovo caso da studiare. Sicuramente ai primi del Secolo (nel 900) la dottrina sociale ed economica non era sviluppata come oggi, ma nell’attuale ciclo economico le esperienze e tentativi che si stanno cercando e accavallando in tutto il mondo, non hanno sinora maturato una “storia” sufficiente per capire come e dove agire. Se la crisi non è solo economica ma anche e soprattutto sociale, sicuramente l’attuale dottrina economica è in piena rivoluzione, (una scuola di pensiero sta per essere sostituita con un’altra) mentre quella sociale, che resta in ebollizione è però più impegnata nel monitorare che invece prevedere; questo è il suo grande limite. Da qui lo stallo. Studiosi che lasciano le cattedre, altri che subentrano, idee da sperimentare, testi da scrivere e il tempo passa.
Ogni previsione sul “quando finisce la crisi” deve passare attraverso queste considerazioni. Va risolta sia e prima di tutto una crisi sociale, cercando nuovi modelli di comportamento (è stato troppo ecceduto) che ridisegnare un nuovo equilibrio economico (troppa globalizzazione e delocalizzazione) per poter “immaginare un mondo alternativo. Ponendosi dalla parte delle imprese che stanno leggendo queste considerazioni così profonde, possono sentirsi tagliate fuori dal gestire la crisi? Decisamente no, al contrario, la singola impresa ha il potere di reagire, vediamo come.

Troppa globalizzazione e delocalizzazione?

Come ampiamente detto la crisi è soprattutto sociale e quindi, solo successivamente anche economica. Negli Stati Uniti non stanno discutendo di qualcuno che non ha pagato la rata mensile del mutuo, ma di un intero sistema di “far affari” che fa acqua da tutte le parti. Sono mancate le regole (come tutti sanno) ma è venuta meno anche la voglia di vivere con una regola (concetto duro da digerire) Le soluzioni (tentativi) in campo negli USA vanno tutte verso una riscossa morale, partendo dal ridimensionamento degli stipendi e premi a una classe di manager che non è corretto liquidare affermando che non li abbia maturati, ma che ora paga il prezzo di essere obsoleta e legata a un modo di essere troppo nichilista e qualunquista. Pertanto il riscatto è morale. Le imprese che vogliono proseguire a vivere sul mercato (evitando il fallimento che solo a Brescia segna un + 231% tra il 2007 e il 2008) devono permettere al cliente finale di identificare il loro prodotto come innovazione, creazione, disegno e realizzazione sotto un determinato logo, evitando di produrre una certa parte in un posto, spacciandola per un’altra. Il mercato rigetta il prodotto concepito nella globalizzazione, perché questa prassi ha tradito il bisogno di benessere del consumatore. Per restare sul mercato, serve quindi che l’azienda sappia dare uno spessore ideale e culturale al suo prodotto del tipo: i prezzi che pratichiamo confermano e difendono il nostro modo di vivere e la civiltà che ci contraddistingue. Leggendo e analizzando questa frase emergono delle considerazioni di fondo. Difesa del prezzo del lavoro fatto a patto che si spieghi dove vengono realizzati i manufatti. Introduzione di un concetto morale (nuovo termine da portare nel nostro lessico quotidiano) tra qualità della vita, difesa del posto di lavoro e di prodotto. Se questi punti di vista sono accettati e condivisi, la globalizzazione e connessa delocalizzazione hanno fatto il loro tempo e “vanno in soffitta” o sono comunque fortemente ridimensionati.

Cosa significano i fondamentali
Quando bisognava giustificare i valori di borsa, in piena bolla speculativa (solo qualche mese fa) si faceva ricorso spesso ai fondamentali, al fine di dare “logica” a una pura e semplice finzione. Ebbene va ricordato cosa siano i fondamentali alla luce delle ultime esperienze:
materia prima: meno costa è maggiore sarà lo sviluppo economico e sociale mondiale. Se fosse vero che il maggior costo della materia prima producesse più ricerca ed estrazione, allora l’intero mondo arabo, ad esempio, sarebbe un’isola felice e prospera galleggiando su un mare di petrolio, quando invece di ricco, in quel contesto, ci sono solo troppo pochi.
speculazione: utile per smuovere il mercato, ma dannosa quando è fine a se stessa (vedi ultimi anni)
globalizzazione: ricerca di nuovi mercati sui quali operare, non nuove piattaforme operative dalle quali re-importare i prodotti per il mercato domestico, togliendo lavoro ai connazionali
delocalizzazione: giusto produrre in un nuovo mercato con know-how nazionale per quella determinata realtà locale, ma sbagliato quando serve a produrre a costi “da fame” per vendere a prezzi in linea con il mercato, come se fossero stati realizzati con maestranze di connazionali e in ciò si ricalca il concetto di globalizzazione già espresso.

Il dimezzamento del prezzo del ferro
L’ipotesi di aprile per il negoziato in corso nell’indicare il nuovo prezzo del ferro, è quella di un dimezzamento delle quotazioni, dopo sei anni di incrementi non giustificati da nulla, se non dal bisogno di speculare. Oggi questo atteggiamento è finito.
Il livello di giacenza di magazzino nelle imprese
Si parla tanto, ma poi non si danno mai dei dati pratici. Quanto dev’essere in genere la giacenza di magazzino? In linea di massima si osserva che negli anni 2006 e 2007 ci si è attestati sulle 2-3 settimane di autonomia. In questi giorni i distributori cinesi (gli unici nel mondo che stanno acquistando in grandi quantità) si stanno sforzando di portarsi a 7 giorni di giacenza, contro una media di 2-3 che ha caratterizzato il periodo autunno-inverno appena trascorso. Le linee di tendenza di questa Rubrica sono di procedere “sul venduto”.
La Cina si mantiene debole, l’Europa è ferma, l’Est crolla e gli USA….
Il titolo di questo capoverso è sintetico, ma ha già riassunto ogni passaggio. La Cina, di cui si parlerà diffusamente in questo rapporto, ha delle sue posizioni di produzione ed export in deciso calo per cui viene spontaneo chiedersi come faccia a condizionare ancora i mercati. Buona parte della risposta è da ricondurre agli effetti della campagna di acquisti governativa, sviluppata sui diversi metalli a scopo di immagazzinamento. Considerati i prezzi decisamente bassi della materia prima, la Cina sta accaparrando tutto quanto le è possibile per farsi le scorte. Al contrario, in Europa si segue il ciclo economico. L’est e la Russia sono sia fermi, come l’Occidente come anche in forte regressione e questo perché mancano a loro le strutture (giudiziarie e di democrazia) per competere con un mercato moderno (dove la democrazia è la base comune di riferimento). Gli Usa stanno provando a disegnare nuovamente il loro tessuto sociale, dal quale dovrebbe risorgere una nuova economia, ma è presto per poterlo dire.

La Cina

Attenzione a fare affari con la Cina, perché questo paese non ha le carte in regola per competere sul mercato globale a causa di un motivo molto semplice: non è una democrazia, anzi è una dittatura. Quando questi concetti furono espressi anche per la Russia, solo pochi mesi fa, l’affermazione lasciò perplessi, però oggi alla luce del dissesto strutturale dell’economia dell’intero est Europa e della Russia in particolare, non ci sono più dubbi.
La Cina, peggio della Russia, ha un problema gravissimo: il rischio di implosione sociale con rivolte e ribellioni (il riferimento non è solo per il Tibet, ma per 20 milioni di persone, che solo a oggi, ma ne seguiranno altre, sono rientrate nelle campagne dopo che hanno chiuso molti stabilimenti) Investire e trattare con la Cina richiede la considerazione di questo rischio-paese. Ovviamente il presente rapporto semilavorati non si dilunga sui dati macroeconomici noti dalla grande stampa economica che registrano sia un calo (crollo) delle esportazioni che al ripiegamento dell’industria manifatturiera sul mercato interno (causa contrazione del 4,5% della produzione) come anche della deflazione registrata in febbraio (1,6 di calo dei prezzi, registrando la prima flessione dal 2002 anno in cui la Cina entrò nel mercato chiamata dagli USA) Tutti particolari indicativi di una seria preoccupazione dello stesso governo di Pechino che teme rivolte e tumulti. In tal senso l’esecutivo ha lanciato due recenti provvedimenti tesi a ridurre il prezzo dei generi alimentari di quasi il 2% (che rappresentano un terzo del paniere) e con continue come ossessive assicurazioni del premier che verrà centrato il risultato di crescere almeno dell’8% nel 2009. L’ipotesi di collasso del sistema sociale e economico cinese è per un valore inferiore al 5% come si conferma anche sul Sole 24Ore del 6 marzo, che va confrontato con la previsione del FMI per un PIL cinese al 6,7%. In questo contesto si ricordano le sommosse che provocò il rincaro della carne di maiale (principale alimento dei cinesi) che oggi è acquistabile a un prezzo sceso del 19% rispetto alla primavera del 2008.

Il rischio collasso sociale in Cina
Considerato che i ragionamenti appena descritti sono in parecchi a farli, l’effetto più immediato è che nel periodo gennaio-febbraio 2009 l’afflusso di investimenti diretti dall’Occidente verso la dittatura cinese, è calato del 26,2% Non solo, ma l’offerta di 20 miliardi di dollari della cinese Chinalco, che produce alluminio, per incrementare la partecipazione nell’australiana Rio Tinto, richiede l’autorizzazione del Governo Australiano, che dopo il diniego di quello Cinese alla statunitense Coca Cola, lascia solo intravedere una ricca successione di veti incrociati tra le coste del Pacifico. Triste primato quello cinese; trovarsi a essere il forziere della liquidità mondiale, ma allo stesso tempo essere rigettato perché non ritenuto adeguato a competere nel nostro mondo, che applica la democrazia e la dignità dell’uomo quale asse centrale nella costruzione della società moderna. Gli unici posti dove la Cina conta in forme predominanti è dove c’è povertà fame e carestia, ovvero in Africa e precisamente in Sudan nello sterminio della popolazione di fede cristiana e in SudAfrica nel negare l’accesso al Dalai Lama per un convegno di premi Nobel. E’ affidabile una Cina di questo tipo?

Come reagire?
Concettualmente per reagire alla crisi è opportuno non delocalizzare più (a meno che non si voglia operare in quel certo mercato dall’interno) e considerare la globalizzazione come azione commerciale e produttiva per offrire know kow italiano nel mondo (merci e metodi di lavoro). Da quest’ultimo passaggio si arriva facilmente a consegnare un messaggio culturale al prodotto “made in Italy” pensato e realizzato con uno spessore di civiltà, che va spiegato al consumatore (altrimenti non serve a nulla) e alle proprie maestranze. L’impresa non è solo un luogo di lavoro, ma va ricercata in essa l’orgoglio di farne parte. Occorre anche smettere di concepire l’azienda come una macchina per fabbricare i soldi. I troppi che sono stati ottenuti da una “ubriacatura da speculazione” di questi ultimi anni, adesso vanno rimessi nelle casse dell’impresa pena perderla con fallimento.
Il concetto non è poi così difficile. C’è una stagione in cui “si riceve” e un’altra in cui “bisogna dare”. Benvenuti in quella in cui l’impresa va sostenuta.
L’elenco delle cose da fare, per reagire, si allunga nel non fare magazzino (come già descritto ma ora ribadito) e comprare solo sul venduto. Per i motivi già espressi, le merci prodotte in Cina e indirizzate sul mercato UE, vanno di fatto escluse, perché non rappresentano e incorporano livelli di civiltà e sensibilità sociale, come anche tecnologici, compatibili con i nostri assetti.
I mercati alternativi
In un contesto del tipo “industria, il motore si sta spegnendo” come titola un quotidiano a marzo, con uno “scivolone del made in Italy”, va ricordato a tutti gli operatori quanto il business ancora regga sulla riva sud del Mediterraneo.

L’economia della depressione.
Per spiegare un concetto che verrà sempre di più utilizzato nei prossimi mesi, pensato e coniato dall’economista Paul Krugman, per economia della depressione si afferma che la riduzione dei prezzi spinge i consumatori a rinviare i loro acquisti e le imprese, di conseguenza, a rimandare nel tempo i loro investimenti. La conclusione di queste azioni è la stagnazione.

Il giro di boa
Lo si è detto molte volte. La crisi è sia sociale che di conseguenza anche economica. Per sistemare i comportamenti delle persone (di noi tutti) serve tempo, dolore e idee nuove, il che significa anni. Sul 2009 in termini di superamento della crisi non è il caso di parlarne, la discussione resta sul secondo semestre 2010 e quindi il 2011. Cosa fare nel frattempo? Semplice: sostenere l’impresa.

LINEE DI TENDENZA – L’ANALISI DEGLI ULTIMI 6 ANNI CON I GRAFICI DEL LME

Andamento complessivo del mercato di Londra
Una prospettiva credibile nei prossimi mesi è quella di un rialzo dei prezzi delle materie prime. Questo evento non va confuso con l’uscita dalla crisi, ma al contrario ne conferma la gravità! In pratica giungono a effetto i cali di produzione applicati da tutti i produttori, le chiusure delle miniere e in definitiva l’intero sistema di ridimensionamento attuato a cavallo tra dicembre e gennaio. A questi effetti si aggiungeranno gli acquisti cinesi sia di materia prima che degli assetti societari di moltissime imprese estrattive nel mondo, impiegando la liquidità accumulata dal 2002 al 2008. L’allarme che si lancia con queste righe, non è solo limitato all’eccessiva influenza che una dittatura che ha sulla vita del pianeta, ma a non confondere il rialzo dei corsi dei metalli come una nuova opportunità. A una crescita “fisiologica” non può che seguire un successivo assestamento, in pratica come un’onda che si infrange sulla costa, al passaggio di una nave troppo vicina. Se questa dinamica può permettere a qualche distributore, che ha ancora in carico nel magazzino degli stock di merce acquistati a prezzi alti, sarebbe il caso di disfarsene quanto più possibile e rapidamente. Ovviamente per sfruttare con intelligenza questo momento di rialzo dei prezzi, l’ideale è vendere non comprare! Che nessuno ci caschi nuovamente caricandosi merce a prezzi non reali come accaduto a troppi operatori, ai quali, da queste pagine molte volte era stato dato l’allarme. La rubrica semilavorati per anni ha chiesto moderazione negli acquisti. Qual è la logica suggerita? Comprare solo sul venduto, quando i prezzi sono alti e “fare magazzino” quando questi sono bassi. Questa è la strategia consigliata negli ultimi 2 anni. Chi l’ha ascoltata è ancora sul mercato. In pratica è quanto sta eseguendo la Cina in questo momento che forse avrà letto LAMIERA.
Per quanto riguarda il mercato Occidentale, l’idea di comprare e fare magazzino in presenza di prezzi calanti, non è ancora attuabile, perché costituirebbe una immobilizzazione di capitale su cui pagare gli interessi (problema che gli operatori cinesi non hanno). Per cui dovendo attendere credibilmente la fine del 2010 per veder muovere il mercato, comprare adesso, con prezzi appetibili, significa sostenere il costo in interessi bancari di un capitale che non sarà utilizzato, se non negli anni successivi. Ecco perché si consiglia di proseguire a comprare solo sul venduto.
Passando a considerare quanto accade sul mercato gemello dell’acciaio, rispetto al LME la previsione tedesca per il 2009 (in linea con gli altri mercati) è per un calo di produzione del 24%.
Ciò che lascia perplessi, nella comunità degli analisti sono i toni che usa la Federazione diretta dal Signor Salgitter, che descrive “disastroso e scioccante” l’andamento del mercato. Ciò conferma ancora una volta il bisogno di rinnovamento della classe dirigente non più adeguata al ruolo, perché non solo non ha saputo vedere, ma ora non ha neppure capacità di gestione e analisi. Il concetto di disastro è solo in confronto con gli ultimi anni, che hanno rappresentato un’anomalia speculativa. Per questo un serio analista sa escludere quei paragoni non pertinenti e quindi capire effettivamente come si muove il mercato. Sulla base di questo ragionamento, anche questo mese, la rubrica semilavorati di LAMIERA indica un criterio di lettura del prezzo dei metalli non ferrosi, che pondera gli ultimi 6 anni (2003/2009). Le motivazioni per cui si è preso il 2003 come termine di paragone, risiede su due aspetti. Il primo è che la speculazione iniziò a pesare sul settore dei metalli dal 2002 e quindi nel 2003 maturò un certo ruolo, inoltre i cali produttivi, sia nel settore dell’automotive che in senso generale, si stanno portando (come attratti) su un livello pari a quello del biennio 2002-2003. Se questa è la tendenza e lo scopo del presente rapporto è quello di aiutare ad anticipare l’andamento di mercato, ecco il senso di quanto qui studiato e suggerito all’operatore finale.

COMMENTO ALL’ANDAMENTO DEI PRINCIPALI METALLI

ALLUMINIO
Come risolvere i problemi dell’alluminio? Semplice, se ne compra per stoccarlo! (spesi a oggi, marzo 2009, 1,05 miliardi di dollari dallo State Reserves Bureau per 590mila tonnellate di alluminio e 159mila di zinco) Si tratta della scelta del Governo cinese applicata non solo sull’alluminio, ma all’intero comparto dei metalli non ferrosi. Lo scopo è duplice: sostegno e accaparramento per il futuro, comprando e sfruttando gli attuali prezzi che, non aspettando altro in carenza di spunti, crescono oltre misura, illudendo il mercato per un “giro di boa” che ci sarà, ma non ora. Comunque l’intervento cinese in materia è ben più articolato. Alle 15 più importanti fonderie locali è stato permesso di negoziare con le centrali elettriche (dove c’è abbondanza di energia non utilizzata da stabilimenti ormai chiusi) un prezzo tale da ridurre dell’1% i costi di produzione dell’alluminio.
Al LME le giacenze di alluminio superano i 3,5 milioni di tonnellate e in alcuni scali non c’è più spazio per stoccare gli arrivi. In queste condizioni le quotazioni si aggirano poco sopra il minimo raggiunto il 24 febbraio (valore più basso rispetto gli ultimi 7 anni) a quota 1.253,50 $/t. Indicativamente l’alluminio è a -60% rispetto agli ultimi 12 mesi e -11% con il 31.12 del 2008.
Sul piano più generale, vanno segnalate diverse chiusure di attività tra cui le 50mila tonnellate in meno di produzione annua dalla statunitense Century e limitazioni per la norvegese Hydro.
Analizzando l’aspetto prezzi al 31 marzo 2003 l’alluminio era quotato 1.349,5 $/t, oggi al 24 marzo 2009 il suo valore è di 1.338,5 Praticamente questo metallo non ha subito la speculazione e resta una materia prima moderatamente sicura per “far magazzino”.

RAME
La strategia è quella di ridurre l’offerta. In questo senso in Zambia (Africa) ad esempio, l’operatore elvetico Glencore sospende l’attività in 2 miniere. Al contempo la Cina prosegue la politica di accaparramento di rame sui mercati internazionali dai quali ha importato, a febbraio 2009 il 41,5% in più rispetto al passato. Si tratta di ricostruzione di scorte sia su iniziativa dello State Reserves Bureau che di singoli operatori finali. Infatti su quest’ultimo particolare, confermato anche dalla Macquarie Research, c’è uno spunto molto importante per noi operatori italiani. Questa campagna acquisti, attuata dai singoli operatori quale “secondo braccio operativo dopo quello governativo” è stata pensata e realizzata grazie alla recente riforma bancaria cinese, che ha ampliato notevolmente l’accesso al credito da parte delle imprese. Ovviamente i cinesi non hanno problemi di fallimenti delle loro banche, ma neppure gli italiani ne hanno, e noi come loro siamo rimasti lontani dai titoli “tossici” comunemente intesi. Di fatto, oggi le imprese cinesi hanno una marcia in più, perché il loro accesso alla banca, se finalizzato a fare scorte strategiche, sotto l’indirizzo e il controllo governativo, è assicurato senza particolari limitazioni.
In merito ai rottami di rame, considerata la loro scarsità, di fronte alla voracità cinese, sta accadendo che quest’ultimi stiano comprando catodi in sostituzione dei rottami con un generalizzato aumento di prezzo (spreco) Conseguentemente, oggi, i rottami di rame sono più cari di quanto siano quotati allo stesso LME, non vendendosi più a sconto come normalmente fatto. Contemporaneamente aumenta la richiesta di catodi i cui premi, ovvero i sovrappiù da pagare sulla quotazione LME sono in forte ascesa nei magazzini dell’Estremo Oriente (500% in più) rispetto a quelli del Nord America.
Analizzando l’aspetto prezzi al 31 marzo 2003 il rame era quotato 1.587 $/t, oggi al 24 marzo 2009 il suo valore è di 3.929 pertanto i margini di ulteriori fluttuazioni al ribasso sono tuttora molto ampie. Per la precisione c’è ancora un 148% di spazio nell’oscillazione, prima di toccare il valore del 2003. Si tratta di una materia prima ancora “pericolosa” per gli assetti finanziari degli operatori.

PIOMBO
Per fare affari non servono prezzi di materia prima alti o bassi, bensì stabilità. La volatilità, sia in un senso speculativo (come sofferta dal 2002) che per eventi depressivi (come dall’estate scorsa) restano “turbative di mercato”. Se questo concetto è condiviso, i tagli di produzione per alzare il prezzo non sono altro che un vizio speculativo per proseguire a giocare, imponendo quotazioni che non sono mai credibili, sia in un senso che nell’altro. Chi ci offre lo spunto per queste valutazioni è il ritorno in attività della Megellan dal porto di Esperace, in Australia, bloccata per ipotesi di inquinamento. Finalmente abbiamo una tendenza opposta rispetto ai tagli speculativi di produzione, con immissione di nuova materia prima sul mercato. Il concetto ora sottolineato è che la cassa integrazione e tagli di produzione dopo anni di super lavoro, soprattutto quando non ne sono passati neppure 12 dall’inizio della crisi, mettono in discussione il carisma di imprenditore di chi ancora oggi dirige, non provvisto delle nuove conoscenze e sensibilità che il mercato richiede.
Il 31 marzo 2003 il piombo era quotato 440 $/t, oggi al 24 marzo 2009 il suo valore è di 1.251 pertanto i margini di ulteriori fluttuazioni al ribasso sono tuttora molto ampie. Per la precisione c’è ancora un 184% di spazio nell’oscillazione prima di toccare il valore del 2003.

NICHEL
Le quotazioni del nichel al LME restano basse, tanto da temere che l’unica reazione dei produttori sia per nuove chiusure al fine di comprimere ulteriormente l’offerta. Il prezzo di fine marzo è del 68% in meno rispetto a un anno e del 12,3% considerando la chiusura del 2008, ma ciò non cambia nulla se venissero rivisti gli interi piani dei conti aziendali di chi produce, ovvero retribuzioni, spese etc. (il caso AIG negli USA fa scuola nella ricerca di una nuova sensibilità – moralizzazione – che è matura anche per il piccolo mondo dell’acciaio e dei metalli non ferrosi italiano).
La Goldman Sachs pensa a un prezzo medio del nichel a 9.700 dollari per il 2009. Ma questa previsione non nasce per caso, bensì inserita nella tendenza dell’inox (che assorbe il 70% della produzione di nichel) verso un calo di produzione che prosegue per il terzo anno consecutivo raggiungendo adesso il -40% . Complessivamente il Bureau of International Recycling (Bir) il cui valore, in termini di volumi sul totale del nichel prodotto, è intorno al 40%, valuta la produzione inox 2009 in calo del 10%

STAGNO
Il 31 marzo 2003 lo stagno era quotato 4.505 $/t, oggi al 24 marzo 2009 la sua quotazione è di 10.300. A conti fatti, le oscillazioni possono contare su un 129% di prezzo ancora da smaltire laddove considerassimo il 2003 come l’anno di riferimento di base prima dell’anomalia speculativa, che ha sconvolto ogni termine di paragone. Se è credibile che il 50-60% di questo valore deve rientrare sul medio e lungo periodo, non c’è dubbio che la quotazione dello stagno è destinata a scendere abbondantemente. In queste condizioni non è possibile acquistare stagno se non “sul venduto”.

ZINCO
L’obiettivo è il rialzo dei prezzi, pena la scomparsa dal mercato. Come fare? Questa è la domanda che si è posto il maggior produttore di zinco al mondo, la Nyrstar che ha scoperto di aver subito una perdita di 575 milioni di euro a fronte di un utile 2007 di 120. Con una procedura non affatto originale, anche la Nyrstar anziché rivedere nel complesso la sua impresa, taglia la produzione, in questo primo semestre di 190mila tonnellate, dopo un analogo taglio di 35mila già attuato nel quarto trimestre.
Analizzando l’andamento del prezzo, al 31 marzo 2003 lo zinco era quotato 762 $/t, oggi al 24 marzo 2009 il suo valore è di 1.230. Anche lo zinco, come l’alluminio si presta a una certa serenità nell’approvvigionamento, in quanto la sua banda di oscillazione pur essendo nell’ordine del 61%, il che non è affatto poco, esprime in termini grafici una certa stabilità.

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