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Fine vita e The Prisoner of Parkinson. Prof Carlini. Studi

by Giovanni Carlini
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Studiando la fine della vita, appunto il fine vita nel contesto del Parkinson, nella nota teoria che si chiama The Prisoner of Parkinson, emergono delle novità sulle quali riflettere.

Su questo ragionamento intorno al Parkinson, definito nella nota teoria che tradotta in lingue inglese si chiama The Prisoner of Parkinson, chissà perchè tutti si arrabbiano! Questa irascibilità è stata studiata attentamente ed indica diversi aspetti che sono:

  • difesa d’interessi di parte, in quanto anche nella malattia ci sono i “partiti”;
  • un grave livello d’immaturità che è indotto, secondo la teoria Il Prigioniero da Parkinson- The Prisoner of Parkinson, dalla convivenza con la malattia (aspetto che verrà di seguito analizzato);
  • dall’illusione che basti la medicina per curare il corpo, il che sarebbe vero quando si parla di massa corporea ma che diventa meno assoluto se ci si riferisce al sistema nervoso, che segue regole diverse rispetto la chimica farmacologica.
  • Il combinato disposto di questi e altri elementi, non consente al sistema di ragionamento riconducibile alla teoria The Prisoner of Parkinson, di poter essere preso in esame dalla stragrande maggioranza di malati, ma solo a una limitata parte, che cerca se non la guarigione, una dignitosa convivenza con la malattia (sono i famosi prigionieri del Parkinson – quelli che vogliono evadere dalla malattia). Un contesto in corso di studio nella teoria del Prigioniero da Parkinson – The Prisoner of Parkinson, che interessa anche la sociologia del dolore (una materia non ancora studiata nelle università ma che si sta cercando d’introdurre). In questo modo The Prisoner of Parkinson rappresenta la nuova frontiera di un modo di pensare innovativo.
  • Cerchiamo di fare il punto: è malato di Parkinson chi ormai convive con la malattia ed è rassegnato, si tratta della stragrande maggioranza dei pazienti. Esiste, per fortuna, un piccolo gruppo che, per quanto sia stato seriamente attaccato dal male, è riuscito comunque a mantenere una certa libertà e indipendenza nel provare emozioni, confermandosi ancora in grado di svolgere un pensiero autonomo. Si tratta dei “Prigionieri del Parkinson”, coscienti di non guarire, ma determinati nel riqualificare la qualità della loro esistenza nonostante il Parkinson. Stabilita questa importante differenza (tra i malati di Parkinson e i Prigionieri da Parkinson) entrando più nel dettaglio sorge la domanda: quando cessa l’autonomia di pensiero in un malato di Parkinson rispetto alla sua malattia? Detto in termini brutali, quando le facoltà mentali di un paziente vengono compromesse dalla malattia?
  • Nei casi esaminati, nello sviluppo di una sociologia del dolore che fa riferimento ai concetti della teoria The Prisoner of Parkinson, si rivela che in ambito di morbo di Parkinson (è probabile che la dinamica sia la stessa per le altre malattie di lunga durata) è sufficiente un semestre di convivenza con il male per risultarne convivente. Essere conviventi con il male significa averlo accettato come una presenza strutturale, per cui reagire alla malattia significa in un certo senso colpire se stessi. Ecco come si spiegano le isteriche prese si posizione degli stessi malati di Parkinson alla teoria del Prigioniero da Parkinson – The Prisoner of Parkinson;
  • Nel momento in cui malato e malattia tendono a confluire nella stessa dimensione, la guarigione diventa impossibile e si può solo parlare, al massimo, di qualità di vita.
  • E’ possibile guarire dal Parkinson? Con le attuali cure che partono dal considerare il sistema nervoso come un elemento corporeo da curare chimicamente NO, non c’è scampo. Nel momento in cui la scienza dovesse accettare un punto di vista interdisciplinare, dove al medico si affianca anche il “medico della mente” che non è solo un neurologo ma la coppia psicologo (già esistente) e sociologo (non ancora considerato al livello della scienza di oggi) allora gli strumenti per la gestione della malattia cambiano radicalmente. Nel dettaglio non può trattarsi di un sociologo qualsiasi, ma dev’essere addentro alla sociologia della famiglia, della devianza e della sessualità. Ecco la triade di formazione che necessita al sociologo inserito in un team di lavoro sul Prigioniero da Parkinson – The Prisoner of Parkinson;
  • Che cosa è in grado d’offrire un sociologo in ambio di Parkinson che non sia stato studiato sino ad ora? Riprendendo l’impostazione di Freud (Sigmund) emerge come la sessualità non sia affatto limitata alla nota gestualità fisica, ma risponda in realtà a una sensibilità interiore nella comunicazione affettiva, per cui si guarda all’altra parte del cielo in modo diverso, si pensa in forme più ampie, si riceve e offre in forme propositive più accese. Ovviamente chi sta leggendo, penserà immediatamente al sentimento amoroso, il che è vero. La sessualità è una forma espressiva del sentimento. Si può fare sesso senza amore? ovviamente si, ma a quel punto ci si limita allo stadio inferiore e sostanzialmente animalesco del sesso, la parte meccanica e meno nobile, appunto quella animale. Nel momento in cui la sessualità è da considerare un sistema di comunicazione che si estende dalla parte meccanica-animale a quella evoluta ed umana, diventa ENERGIA.  Se stiamo parlando di ENERGIA e la introduciamo come sentimento (non necessariamente allo stadio fisico se non in forme gestuali) nel fine vita ad esempio, la durata dell’esistenza possibile aumenta. In un contesto di amore, carezze e anche gioco, chi dovrebbe morire in 4 mesi riesce a viverne 12 (ci si sta organizzando per tempistiche più lunghe nel tempo). Si parla di carezze, delicatezze, battute di spirito, allusioni, sguardi, l’odorarsi, il toccarsi che esprimono quelle fasi pre-rapporto che accendono la reattività umana: non è importante consumarle come solitamente avverrebbe in una vita normale e completa quindi sana. L’accensione dell’emozione produce ENERGIA. Qui la sociologia del dolore dispiega l’intero bagaglio di conoscenze che vengono capitalizzate nella teoria The Prisoner of Parkinson;
  • Nella teoria del Prigioniero da Parkinson – The Prisoner of Parkinson, s’introducono queste attenzioni, anzi meglio detto, si esorta l’uso dell’ENERGIA sessuale come cura per il sistema nervoso danneggiato in un contesto di coppia già consolidato nel tempo. L’applicazione di queste attenzioni nel lungo tempo è stato già sperimentato, ma necessita di un impegno maggiore nella ricerca, quella del Prigioniero da Parkinson – The Prisoner of Parkinson, per studiare meglio le connessioni di causa-effetto tra ENERGIA sessuale e la reazione nervosa nell’ambito del Parkinson e probabilmente in patologie similari di una malattia che dura tutta la vita (da cui il termine “prigioniero”). Comunque prima che la scienza si svegli dal suo torpore e protezione d’interessi, è saggio che le coppie colpite dal morbo di Parkinson, reagiscano introducendo nuovi livelli d’intesa sessuale sostanziale per curare il sistema nervoso del prigioniero da Parkinson.
  • Buon lavoro.

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