Nell’ambito della ricerca sociale sul mondo del Parkinson, sintetizzata con il termine di prigioniero da Parkinson, sull’onda del referendum greco, si scopre quanto sia saggio un intero ricambio generazionale.
Questo perchè l’attuale “gruppo dirigente/direttivo” non è in grado di competere con la gravità del male.
Il concetto di prigioniero da Parkinson è per un adulto che vuole evadere da una condizione fisica ingiusta, che lo condiziona anche mentalmente. Stiamo parlando di lotta, reazione, militarizzazione, della voglia di combattere per la propria dignità e necessità di vivere adeguatamente. In realtà siamo intorno ai concetti più elementari della vita, l’ABC dell’uomo e della donna moderni.
Di fronte a una gravità di questo tipo, ci si ritrova di fronte a personaggi e organi direttivi, posti al vertice, incapaci di confronto, dialogo e analisi. Ne è la dimostrazione il vuoto assoluto che si è voluto creare intorno al concetto di prigioniero da Parkinson. E’ ancor più impressionante come le persone s’avvicino numerose a questi ragionamenti, isolando a loro volta quelli che erano prima i loro punti di riferimento. In pratica ci si ritrova con vertici (a tutti i livelli) ostinatamente sordi e la base, che ha bisogno di risposte, che si muove verso nuove impostazioni per vivere meglio. Questa si chiama frattura. Una frattura di questo tipo si sana con le dimissioni degli attuali vertici che non hanno l’umiltà e la professionalità del confronto. Un pensiero di questo tipo è indotto sia dall’osservazione oggettiva dei fatti (basti osservare la povertà concettuale di tutti i siti che formano l’arcipelago del Parkinson italiano) che dal recente referendum greco, che supper dedicato ad altri concetti, manifesta senza ombra di dubbio quanto sia obsoleta l’attuale capacità d’analisi e sintesi dei governi, banche e istituzioni, nel capire cosa stia avvenendo.
In pratica se in Grecia la politica ha ripreso il suo vero ruolo per guidare l’economia, nel Parkinson la considerazione del paziente (non del malato) deve sovrastare la cura, entrando nella sociologia pura: appunto i concetti del prigioniero da Parkinson.
Questo NON vuol dire che la teoria sociologica sia più importante della profilassi sanitaria, NO! Alcune persone nella condizione del prigioniero da Parkinson hanno iniziato una diversa posologia e sono state gravemente sgridate per questo!
Significa che non è più concepibile una profilassi sanitaria che non sia integrata con quella sociologica nella cura del Parkinson. Ostinarsi nell’ignorare concetti così semplici e lampanti, perdendo la propria base e quindi dimostrandosi ampiamente inadeguati, impone una revisione dei ruoli assegnati ad oggi: dimissioni!
Urgono persone nuove, capaci d’essere meno astiose e incattivite, quindi aperte a qualsiasi cosa sia utile al benessere di quelli che erano malati di Parkinson e sempre di più evolvono nella condizione del prigioniero da Parkinson.