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Il prigioniero da Parkinson: allacciarsi le cinture. Prof Carlini

by Giovanni Carlini
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QUESTA VERSIONE DEL TESTO E’ STATA APPOSITAMENTE MODIFICATA PER CONSENTIRE UNA MIGLIORE LETTURA ALLA COMUNITA’ DEL PARKINSON

Dopo l’accenno sulla militarizzazione, la fisicità compensativa e lo stesso concetto de il prigioniero da Parkinson, ora la sintesi: prego allacciarsi le cinture perchè si vola!

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I tempi, dopo aver molto pubblicato su una teoria sociologica per il Parkinson, sono maturi per un nuovo passaggio.

Riepilogando:
– attualmente molte persone imprigionate nel Parkinson si vergognano della loro situazione;
– non solo, ma sono intimamente convinte d’essere dei malati. Su quest’ultimo aspetto, francamente, non c’è dubbio, ma esiste una differenza sostanziale tra l’essere malati e il sentirsi malati!
– si definisce malato colui che lo è e si sente tale in una sorta di rassegnazione;
– questo voler essere malati si esprime attraverso degli snodi comportamentali tipici (vedi studio già pubblicato sull’argomento)
– nel momento in cui è malato colui che è rassegnato, al contrario si riconosce la dignità de il prigioniero da Parkinson a quella persona che reagisce al male battendosi contro di esso nello spirito e con le idee. Nasce il combattente (da cui il concetto di militarizzazione) che non si rassegna alla sua condizione, ma solo nel cercare una strada che gli riconosca la dignità d’imporsi alla malattia producendo sentimenti, idee, punti di vista, amore, sessualità e qualità di vita;
– a questo punto s’identifica una grande differenza tra il malato di Parkinson (il rassegnato) e il prigioniero da Parkinson (assimilabile a un militare in prigionia che tenta la fuga, indipendentemente dal successo, anche solo per impegnare le forze del nemico)
– un “militare che combatte” da cui il concetto di militarizzazione, non può agire efficacemente se non adotta una DISCIPLINA. I militari sono famosi per il senso di disciplina che gli consente d’ottenere di più rispetto alla buona volontà del singolo;
il tema di questo studio è: cosa vuol dire adottare una DISCIPLINA nella reazione contro la malattia?
Qui la sociologia espone la sua parte migliore.
Per DISCIPLINA significa adottare un comportamento, compatibile con il carattere de il prigioniero da Parkinson, simile a:
a) tornare a studiare per creare pensiero;
b) amare più intensamente;
c) nell’ambito dell’amore familiare, dedicarsi ai minori o alla casa o a rapporti fisici più intensi e vivaci;
d) cercare nella parrocchia o nel web come in un gruppo d’amici, un ruolo che sia d’aiuto, guida e supporto alla comunità;
e) assumere un comportamento di una dolcezza e tenerezza estrema (quasi etereo) al servizio della comunità, esportando quote di bontà a tutti e su ogni cosa;
f) prendere spunto per una imprenditorialità specifica, a favore dei prigionieri, realizzando qualcosa per tutti;
h) scrivere, pubblicare o anche solo impegnarsi in epistolari di qualità;
i) amare;
l) sentire di più;
m) capire di più;
n) osservare di più;
o) leggere di più;
p) guardare di più.
q) qualsiasi altra cosa che si percepisca importante!
Il prigioniero da Parkinson adottando una DISCIPLINA trova una vita maestra nella reazione quotidiana alla malattia che lo distingue dalla rassegnazione del malato e lo rende un combattente nella dignità della sua personalità.
Il prigioniero da Parkinson è il nuovo protagonista di una relazione ancora tutta da scrivere contro il male. Il prigioniero da Parkinson vuole evadere da una condanna che altrimenti lo svuota dentro, togliendoli la vita ancora prima della fine del suo tempo.
E’ tutta e solo una questione di DISCIPLINA. 
Quanto scritto non è facile d’accettare, condividere e tanto meno giungere a queste conclusioni, che maturano solo grazie a chi mi sta EDUCANDO AL SUO DOLORE giorno per giorno, attraverso epistole, chat, lettere, incontri, commenti e ragionamenti. Certamente è necessario per riprendersi quella dignità che spesso sfugge, afflitti da un dolore che intorpidisce l’anima. Ecco la chiave di lettura di quei comportamenti non collaborativi e particolarmente acidi (asociali) già rilevati, incapaci di formulare idee restando sterili nella sola “protesta”, verso una voce fuori dal coro. Un serio amico mi scrive: …..molti qui nel mondo del Parkinson vorrebbero sbranarti solo perchè hai detto il vero.
In effetti c’è gente che, anziché affrontare il male nella coscienza de il prigioniero da Parkinson, quindi reagendo, producendo pensiero nuovo in uno dei tanti modelli DISCIPLINARI possibili, si limita a restare “malata” nel senso più povero del termine. Questi soggetti vanno evitati facendo PULIZIA IN CASA PROPRIA, significa isolare i cani rabbiosi che si sfianchino nell’abbaiare morendo così. Purtroppo ci sono e vanno lasciati perdere, affinché si perdano vagando nella notte. Che il mondo sano del Parkinson, la netta e assoluta maggioranza, abbia il coraggio di sganciare le scorie.
Concludendo chi è il prigioniero da Parkinson ?  Una figura umana sofferente, da non considerarsi malata, ma persona determinata nell’appropriarsi della vita che gli sta sfuggendo dalle mani ogni giorno, quindi assume atteggiamenti di militarizzazione verso il morbo, grazie a una DISCIPLINA caratterizzante la sua sensibilità.
Forza!
Appunti di sociologia per il Parkinson del prof. Giovanni Carlini

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