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Appunti di sociologia: il prigioniero da Parkinson

by Giovanni Carlini
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QUESTA VERSIONE DEL TESTO E’ STATA APPOSITAMENTE MODIFICATA PER CONSENTIRE UNA MIGLIORE LETTURA ALLA COMUNITA’ DEL PARKINSON

Appunti di sociologia nel tratto verso il prigioniero da Parkinson

prigioniero da parkinson

Solo da una settimana, alla tradizionale cura medica del Parkinson, si è affacciata una nuova prospettiva non risolutiva della malattia che potremmo definire “teoria sociologia per la cura del Parkinson”.

Ovviamente si stanno muovendo i primi passi collegando passaggi diversi prelevati da esperienze varie e in corso di maturazione, in un discorso unitario.
Come già noto, da precedenti interventi, è parere di chi scrive che non esista un malato di Parkinson, ma un PRIGIONIERO NEL PARKINSON ovvero uno spirito sano in un corpo malato.  Questa “teoria”, come tutte, richiede un approfondimento e concettualmente corretta vanno osservati i seguenti passaggi:

a) il prigioniero da Parkison è certamente sano nelle prime fasi dei 5 livelli di degradazione della malattia, dopodiché inevitabilmente ne viene compromesso ma restando sempre in una condizione tipica del prigioniero;

b) solitamente il prigioniero da Parkinson nel dialogo che apre, ogni 2 minuti o circa 100 parole espresse, ricorda all’interlocutore d’essere un malato! Questa ossessione nel rammentare a se stesso e altri d’essere un malato (quasi fosse un reduce dal fronte per una guerra in corso, ricercando l’onore del soldato in guerra) va combattuta senza quartiere e inesorabilmente. Per combatterla va offerto un ascolto attivo (non passivo nel dire si…si… ma nell’interagire con attenzione senza interrompere) per successivamente rispondere energeticamente con un FERMATI! Allo stop il prigioniero da Parkinson, che ormai ha fiducia nell’interlocutore, obbedisce recependo l’osservazione fatta per evitare di cadere nella trappola di un’ossessiva volontà di ribadire il concetto d’essere un malato. Solitamente il prigioniero sorride, ma non ci crede; troppo bello per essere vero! A quel punto vanno utilizzate tecniche già studiate da Milton Erickson nella “terapia breve” e il connesso sviluppo nelle procedure di PNL (programmazione neuro linguistica) spostando il dialogo su qualsiasi argomento includa un dibattito, possa essere politica, società, moda, economia o sesso, non ha importanza. Lo spostamento dell’argomento su cui proseguire il dialogo è fondamentale per modificare la valenza da malato a persona. Ecco come si misura la riabilitazione della sensibilità umana: toglierla dalla fissazione di riconoscersi malato. Nel caso lo spostamento non avesse inizialmente successo, va replicato “n” volte fino al successo;

c) si registra, in alcuni casi, una netta fissazione sul dichiararsi malato come se la perdita del titolo/riconoscimento fosse offensiva o non rispettosa di tutti i sacrifici sofferti. In questo caso siamo in presenza di uno stadio avanzato di degradazione della lucidità che è pericoloso ma comunque recuperabile con maggiori quote di pazienza, ascolto e tempo. In questo caso, purtroppo il tempo si dilata.

Quanto qui esposto, sotto forma di appunti, rileva come non ci sia peggiore malato di colui che è convinto d’esserlo e tale vuole restare. La sociologia, in questo caso, è necessaria per ricostruire il tessuto della relazione sociale perduta dal il prigioniero da Parkinson allacciando contatti con la società civile e su argomenti comunemente discussi nel tempo corrente. Detto in altre parole va “trasferita” l’ossessione d’essere malato alla discussione socialmente motivata attraverso lo spostamento degli argomenti solitamente affrontati.

Auguriamoci buon lavoro.

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