La Russia al capolinea? Corrispondenze estere del prof Carlini
Un paio di mesi fa scrissi, sul portale della siderurgia italiana, che investire in Russia o considerare questo Paese come un interlocutore stabile e maturo, nelle trattative commerciali e scenari d’investimento, è da considerarsi almeno azzardato.Nel mio articolo dissi che gli imprenditori più audaci, non sono quelli che rischiano, ma quanti pur osando, sanno raggiungere un’area di stabilità e benessere. In pratica il rischio è il prezzo da pagare per passare da uno stadio A a un’altro B.
Invece, lavorando con le dittature e questo vale per la Russia come per la Cina, ma anche il Brasile, il rischio non è più un transito ma una condizione costante d’esistenza per l’intero investimento. In queste condizioni non è che non si possa investire in quei paesi a instabilità democratica, ma è opportuno farlo tenendosi sempre nella possibilità di ritirarsi senza riportare troppi danni. In pratica i paesi comunisti sono “esotici”, quindi rischiosi e non affidabili.
Un mese dopo aver scritto questo articolo, ho perso il posto e l’editore mi ha impedito di proseguire nel pubblicare le mie riflessioni.
Oggi, che abbia avuto ragione o no, osservando per tempo quanto puntualmente accaduto (lo scopo di uno studioso è quello di saper leggere in anticipo l’evoluzione dei tempi) basta solo sfogliare le prime pagine di tutti i quotidiani del mondo, per limitarsi nel solo registrare quanto già visto, descritto e pubblicato ma lo stesso editore ha voluto imbavagliare per non turbare la serenità dei lettori, incurante dei rischi che stavano correndo. A cosa serve la riflessione di stampa se non a dare idee ai lettori?
Il giudizio sulla Russia rimane critico, come fu espresso mesi fa e quello sull’editore sono ancora più severi, perché ha privato i suoi lettori di un punto di vista, forse scomodo, ma certamente in grado di saper guardare in anticipo sull’evoluzione dei tempi usando il cervello e l’esperienza.
Quando la stampa resta in mano a editori che hanno paura d’uscire fuori dal coro, le prospettive di crisi si fanno ancora più acute e dietro l’angolo c’è la Grecia, che ancora in molti non hanno valutato nei suoi effetti per un ulteriore rallentamento del ciclo economico europeo, consolidando il debito pubblico in mano alle banche francesi e tedesche. (consolidare il debito significa non rimborsarlo come fece l’Argentina nel 2001 e l’Unione Sovietica nel 1917) Ma questa è un’altra storia che solo in questo sito e ad altri “illuminati” sarà possibile leggere per prepararsi.
Resta il fatto che la Russia come la Cina e i restanti paesi Brics, sono validi come affari, nella misura in cui si considera l’alto rischio insito nell’instabilità politica e sociale che soffrono. Come calcolare questo onere in più sulle trattative di ogni genere? Semplice! va considerato il costo di un’improvvisa nazionalizzazione o chiusura degli affari o degli stabilimenti. E’ il rischio che si corse con Nasser in Egitto, quindi in Libia, in Algeria e nel resto del mondo.
La Russia è un paese comunista, quindi è una nazione a rischio d’instabilità. La Cina è ancor più a rischio della Russia ma nessuno ancora lo sa. Nel momento in cui questi concetti fossero chiari e noti, chi andrebbe ancora in Russia? Sicuramente imprenditori coscienti del rischio.
In gamba!
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