FUTURO: CONSIDERAZIONI A CARATTERE GENERALE CON PROIEZIONI
Il futuro: la guerra dei cambi e quella della fame
E’ guerra! Come sempre a ogni crisi segue la guerra. La differenza questa volta è che il conflitto non è “laggiù” in Medio Oriente o in Asia, dove potremmo dire che “se la sono cercata” tra dittatori da strapazzo e fondamentalismo sterile, ma la guerra è qui. Con il caro euro il nostro lavoro non è vendibile all’estero restando confinato nell’ambito nazionale e quello UE ovvero in contesti dove la domanda è in piena discesa. (il calo dei consumi è nell’ordine del 3%) Neppure valgono quei sofismi-equilibrismi tra chi “ci guadagna e chi perde” nel caro euro. perché la benzina la usiamo tutti. Il quadro è semplice: dobbiamo proseguire a comprare materie prime, ma siamo in crisi nel vendere. In un contesto di questo tipo, l’equazione non quadra. La consolazione d’aver venduto da record nel nostro export in agosto, non cambia il quadro, perché il cambio con dollaro allora era di 1,25 contro 1 euro. Oggi a fine ottobre è 1,40 contro 1 euro, il che significa un mondo diverso, completamente opposto al primo.
Non solo, ma l’impennata clamorosa del frumento a cui segue tutto il resto nel campo alimentare, ha il potenziale di scatenare quelle rivolte del riso, del pane e del cibo che hanno già seminato morte nei paesi più deboli (quegli stessi che si affacciano sul Mediterraneo e che comunque si trovano a poche ore di volo da noi) Cosa attendersi nel futuro da un quadro di questo tipo?
La forza della Cina è ora la sua debolezza
La divisa americana non scende rispetto alle principali valute mondiali perché rispecchia il quadro macroeconomico del paese, ma in esito a una precisa e voluta politica della Banca Federale. L’obiettivo è semplice. Se le merci statunitensi sono più a buon mercato, saranno comprate dai cinesi, dai brasiliani (ma questo è un effetto secondario e di scarsa importanza) e dal resto del mondo. Una dinamica di questo tipo però produce un esodo di capitali dalle piazze finanziare americane a quelle dei paesi in fase d’affermazione, elevandone il valore della moneta. Con un real brasiliano più caro, le merci di questo paese entreranno con maggiori difficoltà sul mercato americano, perché saranno più care e quindi meno comprate. Questo è l’effetto principale: tagliare le importazioni e indirizzare la domanda interna sui prodotti nazionali.
La forza dei paesi emergenti, che ora si rivela il loro tallone d’Achille era quella d’esportare merci a buon prezzo nel mondo, però se il loro costo aumenta, tutto il meccanismo s’inceppa ritorcendosi contro di loro. La Cina, il Brasile, il Vietnam e molti altri hanno costruito il loro successo sulla disoccupazione dei paesi occidentali, non preoccupandosi del loro mercato interno che è ancora ai minimi termini (terzo mondo). Una morale da tutto questo è: chi la fa se l’aspetti.
Il collasso della Cina
Per anni è stato scritto e spiegato quanto il mercato cinese sia a rischio di collasso sociale. Nessuno ci ha voluto credere. Oggi molti (troppi) si sono calati nel mercato cinese e sono destinati a subirne tutte le conseguenze. Non dicano però che non è stato scritto e detto molte volte quanto pericoloso fosse quel mercato! Benedetta superficialità. La Cina non ha sviluppato un mercato interno, quindi è strutturalmente debole, mancando uno dei due presupposti per operare in forma capitalistica.
Il capitalismo per funzionare richiede delle condizioni minime che sono: la democrazia (la Cina è una dittatura) e mercato interno (praticamente inesistente o minimo). Quando gli stessi dirigenti cinesi ammettono in pubblico che se non crescessero dell’8% all’anno, il loro regime rischierebbe d’essere sopraffatto da rivolte popolari, con la recente manovra sui cambi e il conseguente voluto deprezzamento del dollaro, sono stati tagliati fuori dal mercato americano. La manovra riguarda miliardi d’importazioni cinesi negli USA in grado ora di ridimensionare l’eccesiva baldanza del paese asiatico. Solo in questi giorni la Cina sta sperimentando i suoi effettivi limiti. In un simile contesto, nel più grande paese asiatico, con un mercato interno non maturo e le esportazioni fortemente ridotte penalizzate dal cambio, quelle imprese italiane che si sono “lanciate” in Asia come se fosse la promessa del futuro, restano stritolate. Un effetto di questo tipo può essere mitigato solo se dovessero operare a favore del nostro mercato, lucrando sui differenziali di costo della mano d’opera. Anche con queste prospettive permangono gravi problemi di costi nei trasporti e di marchio di fabbricazione. Si conclama così la fine di un’era che troppo frettolosamente è iniziata e che ora è tutta da ridisegnare. La Cina non scomparirà, forse la sua dittatura ha i giorni contati, ma la Cina resterà un paese emergente che deve imparare a costruire le basi per crescere senza “copiare” non capendo.