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Non siamo la Grecia ma quasi. Confronti e studi prof Carlini

by Giovanni Carlini
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Non siamo la Grecia ma questa crisi nel Balcani anticipa quella italiana per eccesso d’indebitamento sul PIL

Non siamo la Grecia, noi abbiamo 4,5 milioni d’imprese e loro appena 60mila. Assorti da un mare di vicende di poco conto (mi scuso per pensarla diversamente dagli altri) giorno dopo giorno la Grecia affonda trascinandosi dietro, di fatto, anche noi e non solo. Andiamo con ordine.

Perché non condivido il pensiero di molti e ritengo superficiali le polemiche che ci investono da diversi mesi?

Semplice: mi interessano i grandi temi del genere cosa sarà l’Italia fra 6 mesi o 5 anni, quali progetti abbiamo per il futuro di 2,1 milioni di disoccupati sia giovani che non più tali?

Di tutto il resto mi occupo poco o nulla, perché intriso di polemica in una contingenza spicciola. Ad esempio, recentemente un argomento importante è stato ridotto a uno slogan, non consentendo alla gente di ragionarci sopra. Nel dettaglio, la recente vittoria dei referendum sulla gestione dell’acqua, ha riconsegnato la poltrona di Direttore Generale e Presidente a ben 11mila politici locali, anziché manager privati sicuramente dotati di competenza specifica. Non solo, ma nutro un’aperta ostilità verso i contributi (soldi di tutti) a favore delle energie alternative.

Chi vuole un sistema d’energia rinnovabile se lo installi ma non al prezzo di una sovvenzione pubblica, che funge da spartiacque tra il fare e il non fare.

Tutto ciò ha distolto l’attenzione da eventi di varia natura e comunque strategici, come l’inflazione in Cina in grado d’accelerare un possibile collasso sociale, l’Opec e le sue rigidità anti-occidentali, gli USA che non riescono a riprendersi e infine, ma non ultima, la vicenda greca. Che cosa sta accadendo in Grecia?

In termini di studio del comportamento collettivo, trovo la Grecia di oggi un campo di ricerca immenso. In pratica ci troviamo con un Governo che sta gestendo una crisi sociale attraverso gli aspetti economici. E’ vero che il primo problema greco sono i conti pubblici in disordine e la differenza la devono mettere “altri”, ma in realtà ciò che manca è la capacità di persuasione nel trasformare una folla in gruppo coeso.

Il New Deal (nuovo corso) lanciato tra il 1933 e il ’37 dall’allora Presidente Roosevelt, in un’America impoverita dalla Grande Crisi del ’29, fu un patto sociale, anziché una piattaforma salariale per disoccupati.

Questo ragionamento così impostato è molto pericoloso, perché laddove si traduca la crisi greca in assenza di collante sociale, idee, voglia di lottare insieme contro le difficoltà di qualsiasi natura, sbarca senza ombra di dubbio in Italia, proseguendo per la Spagna.

Ecco che il “contagio” non è limitato alla sola parte economica (il costo d’emissione del debito pubblico) ma investe la qualità di vita, che si è ridotta oggi, a una “non cultura” in base alla quale semplicemente invecchiamo.

Le coppie passano insieme anni dormendo, tranne poi svegliarsi quando è troppo tardi, avvitandosi in una crisi senza uscita se non la separazione, benché questo fallimento sia solo figlio di un mancato dialogo nel corso degli anni. Una moglie non è una colf, ma quella compagna di notti insonni immaginando e vedendo il futuro della propria famiglia. Allo stesso modo il marito non è una macchina da lavoro, ma “l’altra parte del cielo da esplorare giorno per giorno evolvendosi”.

Parole, certo solo belle parole ma che definiscono quella tenacia e costanza con la quale le persone migliorano invecchiando. Ebbene questa tensione al miglioramento non c’è più in coppia (sto esagerando anche se mi lamento di un tasso d’incidenza del 35% di separazioni) tanto meno nella collettività ormai ubriaca di diritti, dimentica di ogni forma di dovere.

La collettività è quanto mai anonima perché la coppia si è smarrita, quindi stiamo producendo figli infelici e cibernetici. Che si fa?

I Governi hanno perso l’attitudine a produrre motivazioni per formare le Nazioni, figuriamoci l’identificazione culturale per cui, allagati da un errato concetto di globalizzazione, oggi siamo orfani del nostro passato trovando ulteriori motivi d’incertezza. La scuola e l’università seguono a ruota libera la crisi generale, contribuendo alla solitudine da modelli culturali ed educativi. Secondo me resta solo il sistema delle imprese, che dovrebbero essere meno luoghi di produzione e maggiormente comunità.

Il dipendente orgoglioso (reso tale) di lavorare in una certa impresa, non è colui che prestando 8 ore al giorno prende lo stipendio e basta. L’orgoglio d’essere moglie di .. non deriva dall’aver un uomo che dovrebbe pensare alla vecchiaia della coppia, ma il sapere d’essere un progetto in perpetua elaborazione nella mente creativa di un uomo, che sa trasformare una donna nelle sue più fasi e sfaccettature che la contraddistinguono.

Ne consegue che lavorare per l’impresa zx, vuol dire chiedere al datore di lavoro: che progetto c’è su di me, cosa sarò fra 5 anni se lavoro con impegno e passione per questa azienda?

L’evoluzione segue sempre un disegno. L’orgoglio è farne parte. In Grecia come in Italia, cercasi disperatamente evoluzione e orgoglio per sentirsi qualcosa. Il mondo delle imprese, in questo momento è l’unico che potrebbe, attraverso una accorta politica del personale, tradurre il solo lavoro da cose da fare in attività a favore di una comunità. Ciò significa dare a tutti una tuta o divisa con le insegne dell’impresa, quindi la mensa aziendale, formazione e indottrinamento tecnico, cene estese alle famiglie, gite sociali, diffusione di dati tendenziali del marketing e gestionali alle maestranze, ricerca e sviluppo allargata a tutti, bandiera nazionale sul luogo di lavoro, partecipazione al controllo dei costi aziendali e buon decoro dell’impresa applicata ai bagni, luoghi pubblici, corridoi, muri, finestre, fili che pendono. Pulizia del posto di lavoro a carico di chi ci opera, premi in denaro (o buoni benzina/pasto) in base alla produttività, autoresponsabilizzazione sui risultati da mantenere per quote di pezzi fatti e qualità etc..etc..

Auguriamoci buon lavoro nel contribuire a formare nuovamente una Nazione, partendo dalle nostre aziende.

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