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Wake up imprenditori. Sveglia figlioli! Prof Carlini e stimoli

by Giovanni Carlini
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Wake up imprenditori sveglia! Stimoli dal prof Carlini

Wake up imprenditori! Una parte del mio lavoro consiste nel descrivere un’impresa ogni mese a vantaggio dei lettori (che sono generalmente degli imprenditori).

La strategia è semplice: commentare la sostanza dei massimi ragionamenti aziendali quanto economici, partendo da esempi pratici e fatti di storia vissuta. Questa forma d’esposizione ha sempre rappresentato un buon tipo di messaggio perché facilmente recepito da tutti. Non solo, ma svela anche una forma di pubblicità per di più completamente gratuita.

Questo è uno dei miei impegni da anni, oggi però ho deciso di parlarne pubblicamente.
Perché? Semplice. Ci sono troppi imprenditori che non sanno comunicare! Per la precisione non si sognano neppure di poter esporre la loro storia, idee e prodotti ad altri 8.000/12.000 capi d’azienda dislocati tra l’Italia e il resto del mondo.

Le motivazioni sono noia, disinteresse, assenza di visioni strategiche, stanchezza, l’essere oberati da tanti e troppi particolari, da perdere la visione d’insieme. Non c’è cattiva fede o malavoglia e tanto meno scortesia, ma resta il vuoto nel non aver precedenti di questo tipo e la preoccupazione d’esprimersi male. Ecco da dove emerge il wake up imprenditori! Si tratta di un atteggiamento che constato spesso anche sui grandi numeri, quando lavoro su file con ben 250 proprietari d’impresa, che chiamo nell’arco di 2 giorni, per “tastarne il polso al mercato e alle imprese” e ho si e no una o due scarne risposte

Possibile che solo 2 su 250 sappiano rispondere su quesiti pertinenti alla loro impresa, prodotto, mercati e considerazioni generali sull’economia del momento? Non solo, ma quando gli si chiede anche una loro foto, accade che vogliono addirittura rinunciare alla pubblicazione, pur di non vedersi. Ragazzi, ma qui si rasenta il ridicolo!

Vediamo d’affrontare il problema in forma organica. I nostri capitani d’industria anche a livello di PMI troppo spesso sono dei tutto fare, che s’arrangiano su mille aspetti, però assumono dipendenti senza una politica del personale (abbattere i costi con la produttività) vendono (privi di una politica commerciale, tale da massimizzare le possibilità per singoli mercati) s’avventurano all’estero (ma non sanno internazionalizzarsi) si lamentano delle istituzioni e del Governo (ma non sanno accedere alla finanza agevolata).

Partendo dal presupposto che non “si nasce imparati”, è opportuno però che l’attuale classe dirigente e imprenditoriale riscopra il bisogno di formazione, non limitandosi al convegno e a qualche domenica associativa autocelebrativa, i cui risultati si vedono: la crisi del 2008 e quella del Maghreb ha colto tutti coloro che non erano documentati “di sorpresa”, ma non certamente così è stato per l’ambiente accademico, che da anni aveva previsto e discusso l’attuale cronaca.

Il mondo è sempre più complesso, per cui la “navigazione a vista” non è più sufficiente. Servono idee, concetti che non nascono germogliando dalla nuda esperienza. Al contrario per poter meditare gli strumenti più idonei sono i libri, la formazione continua, la frequenza a corsi di formazione annuali (non il corso serale da 24 lezioni per 600 euro!) Quando parlo con un imprenditore, che è anche mio cliente, espongo i miei punti di vista, citando

  • Kotler (il padre del marketing moderno)
  • Daft (organizzazione aziendale)
  • Di Maggio e Powell (gestione risorse umane)  mi guardano come se fossi un marziano.

Stando così le cose non ci sono dubbi che chiedere di rispondere a 4 o 5 domande, sulla specifica attività lavorativa, produce nei nostri imprenditori noia, vergogna, disagio, non voglia. I più attenti chiedono quanto costa l’intervista, che ovviamente è gratuita e non si richiede neppure l’abbonamento alla rivista che pubblica il pezzo.

In pratica si tratta di pubblicità occulta (neppure poi tanto nascosta) mediante la quale si discute dei massimi problemi, con un’impresa cercando idee e concetti a beneficio dell’intera comunità imprenditoriale. Tutto qui.

Magari le stesse aziende spendono poi 3.500 euro per un redazionale che nella fattispecie gli viene offerto gratuitamente e non se ne accorgono, perché non leggendo la stampa specialistica di settore (appena sfogliata) non recepiscono idee giù vissute per farne tesoro! (scottarsi le mani degli altri).

Concludendo, ciò che manca Signori è la stoffa e qualità per fare i Capi d’azienda. Se così fosse nessun dramma, basta ammettere di soffrire di visuali limitate e porvi rimedio studiando e sapendo comunicare in una società che fa dello scambio d’informazioni il suo sistema di vita.

Se un’azienda non è capace di relazionare, quanto tempo può ancora restare sul mercato in un’epoca in cui chiudono 30 imprese al giorno nella sola Italia?

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