Il ponte sullo stretto di Messina solleva tanti dubbi e interrogativi tranne uno, quello fondamentale. L’indotto e le ricadute come produzione di ricchezza in una società, quella meridionale, aggravata da troppa disoccupazione. L’investimento, che noi in macroeconomia chiamiamo “I” ha un effetto moltiplicativo sul reddito (Y).
In tutta franchezza su cosa s’investa interessa “meno” rispetto alla ricaduta già generale sul reddito. Certo che è necessario capire e valutare la spesa pubblica nel suo impiego d’investimento, ma quando una parte del Paese è aggravata da un peso in disoccupazione drammatico, stiamo a scatenare i distinguo?
Sicuramente fare un aeroporto intercontinentale a Siracusa diventa arduo e fuori luogo, ma qui si sta semplicemente progettando di collegare due parti della Nazione. Tutto qui.
Il piano polemico si manifesta in questo modo fine a se stesso.
Le vere domande da porsi sono:
- dalla costruzione del ponte sullo stretto di Messina quali sono le ricadute occupazionali in loco;
- quanto ne beneficiano le strutture stradali già esistenti (gallerie e autostrada esistente nei termini di manutenzione ed efficienza);
- qual’è il piano di recupero spese in termini di pedaggio moltiplicato per gli anni;
- chi garantirà la manutenzione dell’opera (e la sua sicurezza);
- quanti occupati definitivi ci saranno nella zona come diretta conseguenza dal completamento dei lavori;
- quanti anni dureranno i lavori e di quanto dovrebbe aumentare il reddito dei locali dai lavori;
- se fosse possibile unire all’opera l’installazione di mezzi per il recupero energetico grazie al vento (pale eoliche) e al sole (pannelli per creare ombra e generazione d’energia).
Dall’elenco si noterà che non è indicato l’impatto ambientale per il motivo semplice e diretto che il mondo si cambia ad uso e necessità dell’umano. Chiuso. Ciò non implica disprezzo per l’ambiente, ma la sua semplice trasformazione armonica. Si augura buon lavoro a coloro che lavoreranno per i prossimi anni sul ponte sullo stretto.