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Il distretto industriale come trappola e imbuto allo sviluppo

by Giovanni Carlini
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Il distretto industriale come trappola e imbuto allo sviluppo. Non fu così negli anni Cinquanta e Sessanta ma le ambientazioni macroeconomiche mutano. Al cambiare degli ambienti non è cresciuta una pari maturità imprenditoriale. 

Il distretto industriale come trappola per le imprese e quindi il fallimento. Chi lo avrebbe mai detto? Purtroppo al mutare delle condizioni macroeconomiche non è corrisposta una pari evoluzione dell’imprenditore. Da questa ignoranza strutturale il fallimento di una bella idea, appunto il sistema dei distretti industriali.

Per come funziona un distretto si rinvia ai diversi studi qui pubblicati. 

Quello che non funziona più negli anni Duemila è l’internazionalizzazione. Anzi per la precisione non ha mai funzionato nel sistema distrettuale italiano. L’azienda del distretto non riesce a proiettarsi con efficacia sui mercati esteri. Solo meno del 20% delle imprese italiane osa vendere all’estero. Una percentuale molto bassa se confrontata all’80% delle altre economie. Da questo piccolo dettaglio emerge il tramonto di un sistema economico che ha rappresentato la fortuna d’Italia.

Si può sapere perchè l’imprenditore italiano all’80% non esporta? La risposta è ignoranza. Non abbiamo una scuola che sappia preparare i nostri dirigenti d’impresa. Addirittura non esiste un corso di laurea in imprenditoria! In queste condizioni quali le soluzioni? La consulenza! Ecco l’unico modo per uscire dalla crisi.

Purtroppo accogliere in azienda un consulente, pur con i soldi della Ue, è ancora un salto culturale. Una dimensione che è lontana dagli attuali standard d’impresa italica.

Nello stallo muore il distretto e falliscono le imprese.

Anche il solo scrivere queste righe produce dolore. Una sofferenza che colpisce non solo me, consulente e studioso ma come cittadino di un paese che non funziona. Le possibilità per non fallire e avvalersi dei consulenti ci sono ma per chi vuole sentire. Il sordo (l’imprenditore) è colui che non non vuole sentire nella presunzione del “faso tuto mì“.

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