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20 Dicembre 2011 Rapporto metalli. Studio prof Carlini

by Giovanni Carlini
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20 dicembre 2011: Rapporto Semilavorati studi prof Carlini 

20 dicembre 2011: l’Italia non è la Grecia!

20 dicembre del 2011, il momento è difficile anche perché troppi isterismi fanno chiasso. Indubbiamente “la politica” è incapace di gestire questa fase storica. Inoltre anche per forzare un cambio di vertice, l’intera stampa e quasi tutto l’arco costituzionale, ha strillato e prosegue indicando quanto il Paese sia allo sfascio, il che è vero, ma fino a un certo punto. Vediamo il perché.
Costantemente si evoca il fantasma della Grecia, riconoscendovi il punto finale di degradazione dell’Italia. Chi afferma e scrive queste cose, non ha capito nulla di economia. L’Italia può sicuramente subire un inverno più rigido di quanto sta accadendo, il che vuol dire un ulteriore peggioramento del quadro complessivo, ma non si può paragonare il nostro Paese alla Grecia, perché il tessuto industriale italiano e in particolare quello manifatturiero, è confrontabile verso la Germania ma non con la Grecia che ne è sprovvista. 4 milioni di imprese fanno la differenza tra “noi e loro”.
Che poi come già accaduto nella penisola ellenica, il fatturato delle imprese scenda del 60% anche nel nostro paese (esperienza sofferta in Italia nel primo trimestre 2009) questo è molto credibile, ma non giustificativo per un collasso nella Nazione.
Per essere più esplicito vorrei che non si confondesse una brutta febbre da 40 gradi, con una tubercolosi. Entrambe sono malattie e vanno curate, però i rischi per la sopravvivenza del paziente poggiano su scenari diversi. Sicuramente ciò che ci avvicina ai disordini sociali greci, è l’intolleranza sindacale, capace di portare in piazza uno sfogo contro “un qualcosa d’indefinito”, che comporta il ribaltamento delle auto, il dare fuoco ai mezzi della polizia, lo sfondamento delle vetrine e quant’altro. Le stesse Brigate Rosse ebbero una sofferta matrice sindacale poi rigettata e rinnegata dall’intero apparato, ma la cui origine conflittuale resta confermata.
Concludendo non si può sorridere quando si sta male, però crocifiggerci solo perché la classe politica si è dichiarata incapace di gestire il paese, non è giusto anche perché inibisce la giusta reazione a meglio produrre e agire sui mercati.

La vera origine del malessere in Occidente al 20 dicembre.

E’ vero, questa è una rubrica dedicata ai semilavorati e non alla macroeconomia, però abbiamo anche imparato, soprattutto dal 2008 che discutere di un solo aspetto, quando tutto intorno a noi sta cambiando, è decisamente errato (suicida).
Per concludere rapidamente questa parte d’impostazione generale, la crisi ha un colpevole: si chiama delocalizzazione nei processi di globalizzazione. I nostri mercati interni calano nei consumi perché abbiamo tassi di disoccupazione elevanti in senso generale e drammatici specificatamente per gli under 35 (il 29% in Italia e il 30% in Spagna) L’invito è a non guardare solo il dato dei senza lavoro a livello complessivo che segnala un valore intorno all’8 o 9% per l’intera popolazione attiva.. Avere in casa un figlio che non lavora, anche se i genitori fortunatamente mantengono il loro, comporta comunque una condizione d’incertezza che si ripercuote sui consumi. L’aver delocalizzato implica grandi ricchezze per l’imprenditore che lucra sul differenziale di costo di manodopera, ma un danno sociale arrecato alla Nazione, conteggiabile in posti di lavoro in meno per soddisfare il mercato interno. Da qui la crisi.
Ecco dove serve la politica. Abbiamo bisogno di ripensare la stessa globalizzazione, che frettolosamente è stata applicata da tutti, spaccando gli equilibri sociali. Nel futuro è facile vedere molto meno Cina e tanto di più “made in Italy” realizzato con le nostre mani.

Le prospettive di mercato al 20 dicembre.

Poter solo esprimere qualche proiezione sul rame, l’acciaio, il coke o qualsiasi semilavorato, implica la conoscenza e padronanza di quanto appena espresso sul piano macroeconomico. Ne consegue che non è affatto possibile prescindere dall’immaginare, nel prossimo futuro, di sostanziosi cali di vendita e produzione per l’intero comparto, similmente con gli altri. La vera discussione potrebbe riguardare su quanto potrebbe cedere l’attuale industria italiana nei prossimi mesi e per quanto tempo. Su questo versante il discorso si fa molto tecnico e particolarmente esposto a valutazioni diverse e tutte effettivamente valide.

Cosa fa la differenza

Al netto del prossimo calo di lavoro per tutti i comparti produttivi e commerciali italiani (lasciamo perdere nella GDO il segmento dei discount che è cresciuto dell’1,4%) ci saranno sicuramente quelle realtà che soffriranno di meno delle altre; perché?
Saranno meno esposti alla crisi coloro che lavorano con l’estero extraeuropeo (ovvero di coloro che hanno beneficiato dei meccanismi di globalizzazione per cui c’è stato trasferimento di ricchezza e lavoro da questo continente agli altri) Per lavorare all’estero con “coscienza di patria” o si esporta o si produce all’estero, ma per presidiare quel mercato emergente, vendendo determinati e adeguati livelli tecnologici e non quanto ci si potrebbe ritorcere contro.
Quindi più è internazionalizzata l’impresa e maggiormente saprà affrontare i prossimi anni. Non ci si vuole qui dilungare sulle agevolazioni nel credito d’imposta per la ricerca e sviluppo e internazionalizzazione, come già accennato nel precedente rapporto semilavorati di novembre, sempre su LAMIERA, tali da rappresentare un formidabile aiuto alle imprese recuperando le spese sull’iva e l’irpef pagata in meno ogni mese.

La previsione 2012 sul consumo di acciaio in Italia al 20 dicembre.

Il Direttore del Centro studi Ilva ha dichiarato in dicembre che assisteremo nel 2012 a un generalizzato calo di consumo d’acciaio in Europa e nello specifico per l’Italia, dai 32,5 milioni di tonnellate del 2008 (anno record) si sta passando ai 27 del 2012 con una contrazione del 16,9% il che ancora non è affatto drammatico!
La sopravvivenza delle imprese viene messa in discussione con cali oltre la soglia del 60% prolungati per un periodo che supera i 12 mesi. In queste condizioni il tessuto imprenditoriale, come oggi lo conosciamo, è destinato a contrarsi in forme importanti. Oltre i 24 mesi il sistema rischia di avvitarsi in una depressione, forse irreversibile, se non utilizzando dei clamorosi “moltiplicatori” come fu la guerra per gli Stati Uniti nel 1940, costruendo a favore degli inglesi, un’intera flotta navale e aerea oltre all’esercito.
Al lato di queste considerazioni, fa riflettere l’annuncio emesso dai costruttori di auto sudcoreani (KAMA) che prevedono nel 2012 una crescita del 3,1% raggiungendo il nuovo record di 4,7 milioni di unità prodotte. Si precisa che questo risultato verrà raggiunto con l’export in crescita del 3,9% contro il mercato interno in rafforzamento dell’1,4%.
Ecco cosa ha prodotto la globalizzazione: un trasferimento di ricchezza.
Infatti relativamente all’Europa l’ACEA (associazione dei costruttori automobilistici europei) il calo di produzione in Europa è del 1,4% con punte in Inghilterra del 4,5% in Italia del 10,6 e Spagna per il 18,8%

L’innovazione paga sempre

La Dongbu Steel è un’impresa siderurgica sudcoreana intenzionata a entrare sempre più nel mercato statunitense. Da un loro studio di mercato, emerge come gli americani utilizzino prevalentemente tubi API prodotti con forni elettrici anziché da altiforni.
I vantaggi di quest’ultimo riguardano principalmente il consumo energetico. Per potersi avvantaggiare di minori costi di produzione, la Dongbu Steel ha sviluppato una lunga serie di test, ora giunti al successo, su tubi saldati, secondo gli standard API (American Petroleum Institute) al fine di giungere a coils laminati a caldo, in acciaio, del grado J-55, X.-42 e X-52. Inoltre è stata già prevista la possibilità di produrre in base agli standard API X-60 e X-65 e in alta gamma con gradi SPA-H e S45C oltre ai STK 290/400/490.
Il concetto che emerge da questi dati è molto semplice: i sudcoreani vogliono entrare in forza sul mercato statunitense per imporre, grazie alla tecnologia e quindi al prezzo, il loro prodotto. Questo vuol dire che l’innovazione paga sempre, ma anche che per fermare una simile “invasione” servirà un atto del governo specifico, come giù accaduto molte volte, formulato nei termini di accusa al produttore straniero di aggiotaggio o dumping.

Cosa c’è da attendersi nei prossimi mesi a livello di prezzi

Anche su questo argomento si possono dire tante cose, tutte con un fondo di verità. Per attenersi ai fatti si confrontano qui i prezzi dei metalli non ferrosi trattati al LME nelle loro variazioni di prezzo intercorse tra il 20 dicembre 1998 e la stessa data del 2011. Considerando che una media di crescita del prezzo del 5% annuo, sarebbe stato comprensibile nel corso degli ultimi 13 anni, ogni valore molto diverso da quanto si otterrebbe nella rivalutazione concordata, è da considerarsi esposto ai rischi della speculazione per cui potrebbe accartocciarsi molto rapidamente, in presenza di un mercato non ricettivo. Ne consegue che più è alto il rischio, insito nell’attuale prezzo di un metallo leggero e meno va approvvigionato a titolo di scorta perché “pericoloso”.

Il concetto che emerge da questa comparazione è semplice. Il rame, ad esempio, soffre di 5mila dollari di speculazione per tonnellata, quindi la sua possibile oscillazione è misurabile in questo spettro di valore, azzerabile nell’arco di pochissimo tempo se la recessione dovesse confermarsi.

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